Pubblicato il 29 Novembre 2021
di Stefano Fabrizi
Mettere in scena il “non detto”, solo due grandi attori potevano farlo: Umberto Orsini e Franco Branciaroli. E il regista poteva esserlo solo uno che parla con gli dei dell’Olimpo: Pier Luigi Pizzi.
“Pour un oui ou pour un non” di Nathalie Sarraute è un dramma dell’Io più profondo che pensavamo si potesse solo leggere, tant’è che il “gioco” delle emozioni si dipanano su un filo talmente esile che si potrebbe rompere in qualsiasi momento. Invece, no. Pizzi, Orsini e Branciaroli hanno dimostrato il contrario con una messinscena da brividi, da togliere il fiato.
La scena
La scenografia è d’impatto. Un fondale nero, muri neri. Due librerie altissime bianche con libri dalle copertine bianche. Sedie con gli appoggi bianchi, ma con le gambe nere. Due scale, per raggiungere i piani più alti degli scaffali, nere. I protagonisti sono vestiti di nero. Una lampada al centro di un tavolino bianca. E un divano, in primo piano rosso. Perfetto. Capiamo subito che il contrasto tra il bianco e nero è dato proprio dal titolo: “per un sì, per un no” o ancora più sinteticamente “o sì o no”. Ma quel divano rosso stona, non ha senso. Ma per capirne il significato dobbiamo attendere la scena finale. Una mia sensazione: quando si apre il sipario, si è inondati da tutto quel bianco e mi viene in mente “Dei sepolcri” di Foscolo. Inconsapevolmente, una intuizione del finale.
La trama
Due amici si ritrovano dopo un non motivato distacco e si interrogano sulle ragioni della loro separazione scoprendo che sono stati i silenzi tra le parole dette e soprattutto le ambiguità delle “intonazioni” a deformare la loro comunicazione aprendola a significati multipli e variati. Ogni “intonazione” può essere variamente interpretata dalla disposizione d’animo di chi l’ascolta. Questo è il tema centrale di “Pour un oui ou pour un non”, titolo che si può semplicemente tradurre con “Per un si o per un no” ma che in realtà significa molto di più e che nella nostra lingua ha solo un’apparente valenza speculare. “Per un sì o per un no” è quel nulla che può cambiare tutto, quel nonnulla che provoca lacerazioni profonde, ferite insanabili.
L’incontro
L’incontro tra i due non è casuale. Non hanno nomi scenici. Non si chiamano, è superfluo. È Orsini che ha invitato Branciaroli a fargli visita. E il motivo è una “pendenza”: una frase detta anni fa che non ha digerito: “ah bene… allora è così!”. L’amico straluna gli occhi. Non comprende. E Orsini insiste: “Non è la frase in sé, ma il modo in cui è stata detta… con pause e accenti calibrati a significare un parere negativo se non addirittura sarcastico. Oppure, ancora peggio… , e per spiegare meglio il senso di tutto questo, Orsini sale su una tavolo (con incredibile agilità) e scrive sul muro (nero) la parola “degnazione”. Concetto non accettabile per lui. Branciaroli è sempre più esterrefatto. Prova a controbattere. Orsini per dimostrare le sue ragioni chiama con il tablet una coppia di amici via Skype per sottoporre la questione, che non sarà comunque risolta: gli amici non prenderanno le parti di nessuno, lasciando il dubbio, il non definito.
La trappola
Orsini rivanga, rimugina nel passato. Storie di 50 anni prima. Rinfaccia l’amico di sempre di avergli teso delle trappole. Rinfaccia falsità. Branciaroli tenta di ribattere. Orsini allora stempera: “a volta si dice più di quello che si pensa”. A questo punto Branciaroli vuole andarsene, ma si ferma a osservare la strada dalla finestra. È un gioco di specchi che vede protagonista anche Orsini. Poi una mano sulla spalla dell’amico allenta la tensione. Ma solo per pochi attimi. Branciaroli cita Verlaine e lo paragona all’amico, che rifiuta tale accostamento. Poi prende un foglio bianco e vi scrive la parola “prende”. E dice di essere lui caduto in una trappola. Orsini quasi a “conquistare” le distanze e omologare Branciaroli alla massa passa da un confidenziale “tu” a un distaccato “voi”. Ed è la volta di Branciaroli di scrivere sul muro: “geloso”. Colpisce nel segno. È un duello ormai all’ultima emozione. La tensione viene ammorbidita da qualche intervento ironico che fa sorridere il pubblico. Poi arriva la scena finale. Inaspettata. Un tuffo al cuore. Che non vi sveleremo.
Branciaroli e Orsini
Non c’è certo bisogno di dire che sono bravi, anzi bravissimi. Sono un pezzo importante della storia del Teatro. In questa drammatica pièce dimostrano la grande vitalità che hanno ancora e l’immensa capacità di rappresentare il non rappresentabile. È un gioco continuo di sguardi, di movimenti, di parole lasciate sospese e calibrate inflessioni. Il testo messo in rappresentazione poteva essere uno “scivolone”, ma i nostri lo hanno saputo tessere, sotto una accorta e illuminata regia di Pizzi, e rendere intrigante e coinvolgente. Il pubblico quasi non respira, sospeso in quella aria rarefatta di una casa dove si tocca con mano la claustrofobia. Ancora una volta si comprende come di fronte a prove “impossibili” i grandi le rendano “possibili”. Al termine una lunga e convinta standig ovation.
Le info
“Pour un oui ou pour un non” di Nathalie Sarraute con Umberto Orsini e Franco Branciaroli, regia, scene e costumi di Pier Luigi Pizzi, produzione Compagnia Orsini e Teatro de Gli Incamminati.
La commedia di Nathalie Sarraute, una delle più importanti scrittrici francesi della seconda metà del Novecento e che ha occupato un posto importante nell’alchimia tra teatro dell’assurdo e teatro del quotidiano, mette al centro della scena la forza delle parole in una ragnatela di incomparabile abilità.
Grazie all’Amat, al Teatro della Fortuna di Fano la residenza e l’anteprima del 26 novembre (repliche fino al 28). Il 29 novembre la pièce è al Teatro Pergolesi di Jesi, ore 21. Informazioni al 0731 206888.
Lo spettacolo dura 85 minuti.
1 commento su ““Pour un oui ou pour un non”: Pizzi, Orsini, Branciaroli stupiscono e fanno un capolavoro”
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