Pubblicato il 18 Novembre 2021
di Paolo Pirani
Due volti, due incontri unici nell’arco di pochi giorni, due “apnèe” di diversa ancorché sempre intensa durata, in attesa di sganciare sul serio la cima e lasciarmi andare verso altri lidi, quelli incontaminati di “fantàsia”, del sentimento primordiale, in uno spaziotempo parallelo.
Vieste e Sant’Arcangelo di Romagna legate da ricordi
Incontri “mediati”, inattesi, imprevedibili, piacevolmente spiazzanti. A Vieste, poi a Sant’Arcangelo di Romagna, in una successione serrata, tappe di un unico viaggio, verso Sud e poco più a Nord, incrociando vite, ricordi, emozioni.
A Vieste nel ristorante c’è Lucio Dalla che “canta”
A Vieste, in apnèa sono rimasto una settimana. E l’aria era diversa, libera dai miasmi dell’incapacità, della stupidità, dell’inconcludenza che mi accerchia, come un basso continuo, che tengo a bada con due pillole bianche al giorno. Insomma, resto immerso in quella benefica sospensione fino venerdì 2 settembre. Alle 8,00 di sera, nel tramonto arrossato dell’ultimo giorno di permanenza in quella mia seconda patria che diventerà la prima, decido di andare a farmi un piatto marinaro in un ristorante che vedo da vent’anni, dove ho sempre detto di voler andare senza riuscirci mai. Con la mia compagna di una vita entro e chiedo un tavolo, al coperto, che dà sul porto dei pescatori e degli armatori. Scorre un sottofondo che prima percepisco appena, poi diventa presente, sempre di più, ma con discrezione. E la cosa mi colpisce: è Lucio Dalla che canta il suo repertorio, il più bello -ma è tutto bello- come l’ambiente che ci avvolge, come un abbraccio, al quale all’inizio non hai fatto caso. E si sta bene, ti fa stare bene. E io sto bene, con una bottiglia di Falanghina che prende il volo assieme alla memoria.
Vieste
Gli incontri fugaci e casuali con il cantautore a Bologna
Tramonta il sole di fine agosto, e gli spaghetti fatti in casa al sugo di vongole veraci scompaiono nel piacere carnale della gola, mentre ricordo le tante volte, come lampi, che ho incrociato il cantautore a Bologna, ai tempi del Dams, spesso in compagnia dell’amico Guccini, entrambi ai primi posti della mia personale hit artistica e di impegno civile.
Lucio Dalla
L’abbraccio virtuale con il proprietario del ristorante
I camerieri sono perfetti, cortesi ma senza smancerie, spesso finte e fastidiose, con la cravatta nera tagliata sghemba a metà, il nostro porta l’orecchino, come il proprietario, abbronzato e silenzioso.
Mi alzo di controvoglia, lei si attarda mentre io pago il conto. E’ il proprietario che smanetta alla consolle. Allora gli chiedo due cose: dica -mi sollecita garbato-; la prima, se siete aperti anche d’inverno (ci tornerei volentieri, l’atmosfera dev’essere ugualmente bella, magari col turchetto dei pescatori a fine pasto). No, mi dice, adesso non più, non riesco; è aperto da aprile a fine ottobre. E la seconda ? -mi anticipa con un mezzo sorriso-. Quanto è casuale il sottofondo di solo Lucio Dalla ? -chiedo-.
E’ come un fermo immagine. Si alza, le mani abbandonano ciò che facevano in precedenza, gli occhi si riempiono di lacrime (ho l’impressione che voglia abbracciarmi, ma ci divide il bancone della cassa). Poi, in mezzo a un sorriso un pò amaro mi dice che “Lucio è stato il mio più grande amico e io mi onoro di poter essergli stato vicino tante volte. Sempre, quando si imbarcava per le Tremiti, abbiamo passato la serata insieme. E questo è il ricordo che evita il naufragio”.
Gli dò la mano, sono scosso di emozione, lo ringrazio, come la ciliegina sulla torta, dico; lei nel frattempo mi ha raggiunto. Come se avesse voluto regalarmi quella parentesi.
Usciamo, le racconto. Domani si rientra, ma in apnea rientro giusto una settimana dopo.
La fuga da Rimini per ritrovarsi a Sant’Arcangelo
Mi reimmergo a Rimini: ore 12,00 del primo sabato di settembre, tutto chiuso, musei e chiese (ma di che organizzazione si parla ?, forse quella di spiaggia e discoteche e mandrilloni incanutiti; povero Federico, hai fatto bene ad affondarla nella nebbia di Amarcord).
Ritrovo dove ho parcheggiato la macchina giusto con un taxi dopo due ore di ricerca alla disperata sotto il sole e le palle che roteano vorticosamente. Fuggo da Rimini senza rimpianti e prendo strada verso Sant’Arcangelo, tanto per restare in tema di strada (felliniana appunto) ma pensando a Tonino, stavolta, Tonino Guerra che di lì è originario.
Hotel Verde Mare di Sant’Arcangelo
Un albergo sulla via del tramonto come isola momentanea
Notiamo un albergo a qualche chilometro dal centro, sembra uno di montagna piuttosto che di mare, in pietra e legno, ma lo sfioro con gli occhi e l’oltrepasso. Però rabbuia, e il centro non mi propone alternative di ospitalità, o non le noto, o non le voglio scorgere. Sta di fatto che decidiamo di fare marcia indietro e tornare all’albergo visto di sfuggita. In questo caso è come il riavvolgimento d’un girato: ci fermeremo per la notte, fortunatamente hanno una camera, anche se arriviamo contemporaneamente a un cieco con cane e due finlandesi, giovane coppia, bianchi come gli spettri di Ibsen.
La camera è singolare, ampia, con moquette pervinca e carta alle pareti che sembra un intrico da foresta amazzonica. E’ tutto un pò liberty, curato, quasi un cammeo, retrò ma con gusto, lezioso e intraprendente insieme. Grande letto, grande finestra con balcone riservato; ogni camera ha il suo e dà sull’interno, per dimenticare la nazionale che scorre dalla parte opposta.
Tra pizza e Trebbiano
Scendiamo in sala, molto particolare anche questa, apparecchiata in circolo attorno a un lampadario similmurano al centro, quasi a picco sul tavolo che gli sta sotto e quasi lo sfiora (ritorno alla sequenza in teatro del Fantasma dell’Opera di Webber).
Poi è un vortice: ordiniamo due pizze all’amatriciana (per contribuire ai terremotati di quei giorni) come suggerisce un avviso sul tavolo, la cameriera è pugliese -rivela- mentre parliamo proprio della Puglia da cui siamo appena rientrati. Tra due settimane a Sant’Arcangelo ci sarà una notte della taranta che organizza e a cui ci invita. La pizza è ottima, il Trebbiano anche, ce ne portiamo una bottiglia in camera per prolungare quell’attimo di benessere, col proprietario in scuro e camicia abbondantemente aperta che ci saluta e si scusa per le verdure grigliate che non riesce a prepararci per l’imprevisto assalto di turisti e giovani festanti.
Il museo dedicato a Tonino Guerra
Il ricordo di Tonino Guerra del ristoratore
La notte è ancora calda, solo qualche foglia si arrende al primo accenno d’autunno. La mattina siamo soli per colazione, col proprietario già in tiro (ma quando ha dormito ?, sta riordinando una camera: ma fa tutto lui ?) e, affabile, ci porta due cappuccini e una straordinaria crostata fatta in casa.
Poi paghiamo e dico che vogliamo andare a vedere il museo di Tonino e il suo mondo bambino, dove è tornato solo per morire. Magari l’ha conosciuto -dico io-; mi guarda, in una sospensione di qualche attimo: grande persona e artista, grande davvero -dice- pensi che per Il frullo del passero, che a mio parere è tra i film più belli che ha fatto, venne tante volte a cena con Ornella Muti che qui dormiva, e si parlava con tutta la compagnia. Grande uomo, grande amico … .
Resto incredulo, piacevolmente, per la seconda volta in pochi giorni. Gli manderò un dvd con un suo spettacolo che realizzai dieci anni fa. Il resto è cronaca, bella, da brivido, sul filo del ricordo che affiora prepotente quando percorro le vie del centro, le sue vie, visito le case, le sue case, mi immergo nel suo museo con le sue opere.