Luca Ward protagonista domenica 9 novembre, alle ore 18, al Politeama di Tolentino con “Il talento di essere tutti e nessuno” / intervista

Pubblicato il 6 Novembre 2025

di Chiara Morini

Un timbro di voce importante, profondo e inconfondibile; il pubblico conosce la sua voce dai film visti con Pierce Brosnan, Russel Crowe, Hugh Grant e Samuel L. Jackson, da “Pulp Fiction” a “Matrix”, da “Il Gladiatore” fino a tante altre pellicole. La voce è quella di Luca Ward che domenica 9 novembre, alle ore 18, salirà sul palco del Politeama di Tolentino con “Il talento di essere tutti e nessuno”.


Luca Ward, quando ha capito di avere questo grande talento?

«Non l’ho capito io in realtà. Se ne sono accorti tanti altri grandi attori dell’epoca, di quando ho iniziato. Mi dicevano che avevo questo talento. Io da grande volevo fare il pilota, ma questi attori hanno continuato a dirmi di provare: l’ho fatto ed eccomi qua, dopo anni di carriera».


Tutti la conoscono per la sua voce

«Le voci belle possono essere più o meno amabili, cacofoniche, acute, quello dipende dal miracolo che la natura compie di volta in volta. É l’uso che se ne fa che è fondamentale, non serve solo avere una bella voce. Aiuta, ma poi conta anche la forza interpretativa. Amendola sapeva di non avere una bella voce, ma di possedere una grande potenza interiore. Come del resto Savagnone. Se uno diceva a Pino Lochi che aveva una bella voce finiva quasi per arrabbiarsi. Mio nonno era un genio: doppiava Fernandel, non aveva una voce bellissima. Potrei citarne tanti, come Oreste Lionello e Woody Allen per esempio: voci non bellissime, ma una straordinaria potenza interpretativa».


Cosa serve per essere un bravo doppiatore?

«Fare gli attori di teatro. Lì ci si forma veramente. Solo il teatro è in grado di far avere una buona arte interpretativa. Oggi i giovani non vengono dal teatro, e a volte non si diversificano».


Il doppiaggio più difficile che ha fatto?

«In Pulp fiction. Sembrava indoppiabile, era pieno di slang. Ma poi i dialoghi furono scritti in modo da farcela e alla fine, tra le tante versioni doppiate in giro per il mondo, Tarantino disse che quella italiana era la migliore. É stato difficile perché l’attore era dieci anni più vecchio di me e poi gli americani quando parlano hanno degli alti e bassi».


Il doppiaggio che le ha dato di più?

«Il gladiatore. Tutti ancora mi chiedono di rifare la frase celebre del film. Lo hanno fatto ancora dei giovani che ho incontrato uscendo dallo studio di registrazione poco prima di parlare con lei. Io sono felice di questo, del resto anche Proietti, una volta, mi disse “non smettere mai di farla”».

Racconterà il suo lavoro nello spettacolo?

«Sì certamente. Sarà come se lei venisse a casa mia a fare due chiacchiere: le racconto il mio lavoro. Spesso viene narrato in modo errato. Invece, a differenza di come a volte viene descritto, è molto difficile, complesso, ti carica di responsabilità, ma non bisogna mai prendersi troppo sul serio. Sul palco chiamerò una ventina di persone, lo faccio sempre, li faccio doppiare».


A cosa sta lavorando attualmente?

«Non posso dire nulla, se non che ho appena finito un film con Enrico Vanzina, straordinario il suo ritorno alla regia. Non lo ringrazierò mai abbastanza per avermi coinvolto in questo lavoro».

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