Torna il commissario Mineo a caccia del mostro di Urbino. Il personaggio di Francesco Bozzi cresce e si evolve in un godibile giallo (e non solo) / recensione

Pubblicato il 18 Settembre 2025

di Stefano Fabrizi

Francesco Bozzi, autore e autore televisivo noto per la sua penna ironica, con Il mostro di Urbino costruisce un romanzo che mescola giallo, commedia e satira di costume. La storia parte da un evento inquietante: in una tranquilla cittadina marchigiana si aggira un misterioso “mostro” che semina panico e sospetti. L’indagine, però, non è affidata ai classici detective infallibili, bensì a personaggi comuni, pieni di debolezze, tic e manie, che rendono la narrazione vivace e ricca di situazioni comiche.

Bozzi riesce a giocare con i cliché del genere noir: il crimine c’è, ma viene trattato con una leggerezza che non scade mai nella superficialità. Il vero motore del romanzo non è soltanto la caccia al colpevole, ma anche la rappresentazione della provincia italiana, con le sue dinamiche sociali, i pettegolezzi e le contraddizioni che rendono gli abitanti tanto realistici quanto divertenti.

Lo stile è scorrevole, ironico, spesso punteggiato da battute fulminanti che alleggeriscono l’atmosfera pur mantenendo la tensione della trama. Il lettore si trova così immerso in un’indagine che diverte e al tempo stesso stimola la curiosità fino alla fine. 

Il mostro di Urbino è un giallo che si legge con un sorriso sornione e un sopracciglio alzato: Francesco Bozzi mette in scena un’indagine che prende sul serio il mistero, ma lascia al lettore il piacere del disincanto. Il commissario Saverio Mineo, antieroe di rara simpatia, viene trascinato fuori dalla sua comfort zone siciliana e catapultato in una task force marchigiana: a Urbino un assassino ha già ucciso quattro anziani e porta via come trofeo un lembo di pelle, dettaglio macabro che fa da contrappunto perfetto alla verve del protagonista.

Mineo è pigro, sarcastico, allergico alle riunioni e abilissimo nell’arte di far lavorare gli altri: vorrebbe che il caso si risolvesse quasi da solo, magari tra una prenotazione al ristorante e l’altra, mentre il paziente La Placa gli fa da contrappeso. Bozzi ne calibra i tic con gusto: la mania di contare passi e gradini, l’amore per gli anagrammi, la “religione” della buona tavola, quel cinismo che non sconfina mai nel nichilismo. Il risultato è un detective memorabile, riconoscibile in tre righe, che regge da solo un intero ecosistema di scene corali e dialoghi scattanti.

La scelta di Urbino come palcoscenico aggiunge un livello in più: la città non è sfondo cartolinistico, ma tessuto connettivo della trama. Dalle sale del Museo Diocesano, che diventano camera d’eco di un intricato mistero, all’eremo di Monte Giove con un saio appeso che sembra agitare ombre e intuizioni, Bozzi ci accompagna per strade e piazze con un realismo che profuma di pietra viva e silenzi rinascimentali.

Bozzi descrive una galleria di personaggi complessi e affascinanti. Da una parte ci sono figure storiche come il duca Guidobaldo II della Rovere, la sua consorte Giulia Varano e il figlio Francesco Maria. Dall’altra, ci sono personaggi fittizi che danno profondità alla narrazione, come lo sfortunato Giulio e l’enigmatica Giulia, la donna che gli ruba il cuore.

Il tono è l’arma segreta del romanzo: l’umorismo non smonta il giallo, lo affila. Le riunioni della task force sono piccoli sketch in cui Mineo bada più a non sfigurare (e a scovare trattorie) che a primeggiare; poi, quando serve, la storia si fa scura e la suspense stringe. Bozzi lavora sull’equilibrio: battute a tempo, scene brevi, ritmo senza strappi, alternanza di leggerezza e ombra che impedisce al libro di deragliare verso la farsa o il cupo compiaciuto.

Interessante anche l’impostazione dell’indagine: niente feticismo da laboratorio, poco spazio a luminol e DNA; qui conta la testa, il logos, quel filo classico che porta da Sherlock a Maigret e al tenente Colombo. Non stupisce sapere che Bozzi si è avvalso della collaborazione del fratello Silio, vicequestore e criminologo: si avverte la mano che conosce procedure e, insieme, la volontà di tornare all’intuizione come motore narrativo.

La trama, nel suo procedere, si diverte a sparigliare: la stanza di un convento scelta come rifugio, una setta che affiora, il miraggio di un tesoro antico. Mineo inciampa, svicola, elude la socialità forzata dei colleghi e, quasi suo malgrado, arriva al cuore del caso. È qui che il personaggio funziona meglio: nell’oscillazione fra indolenza e acume, tra posa da lavativo e lucidità improvvisa, con quella “sicilianità” che stona e insieme brilla dentro l’eleganza enigmatica di Urbino.

L’evoluzione di Mineo in Bozzi nel costruire il personaggio Mineo

Mineo ritorna in questo nuovo romanzo come figura più complessa e interiormente coesa rispetto al precedente caso. La trama mantiene la tensione investigativa ma sposta progressivamente il baricentro dall’azione esterna alla trasformazione interiore del protagonista. L’autore conserva gli elementi tipici del suo registro ma li rilegge attraverso una lente più riflessiva, rendendo il racconto insieme più meditato e più denso di implicazioni morali.

Personaggio

Mineo si presenta qui con una psicologia più articolata e una voce narrativa più persistente. Le reazioni che nel libro precedente erano soprattutto istintive diventano ora il frutto di processi di riflessione e riconsiderazione, mentre le sue motivazioni sono scandite con maggiore chiarezza. I comprimari non restano meri ingranaggi della trama ma diventano specchi e contrappunti simbolici, utili a mettere in luce verità nascoste e ambiguità etiche. La focalizzazione interna accentua l’intimità del personaggio e trasforma la sua indagine in un percorso di autoanalisi.

Stile

Lo stile di Bozzi si è arricchito: il lessico mantiene la precisione asciutta dei testi precedenti ma introduce registri più lirici e pause riflessive che modulano il tono. Il ritmo alterna sequenze dinamiche a intermezzi contemplativi, creando un contrappunto che consente sia la suspense sia la profondità. Le metafore, una volta funzionali alla descrizione, si fanno segnali tematici e concorrono a costruire un immaginario coerente. I dialoghi muovono informazione e rivelano contraddizioni interiori attraverso silenzi e sfumature.

Struttura

La struttura narrativa abbandona la linearità in favore di una tessitura più stratificata. Flashback selettivi e capitoli tematici interrompono la successione cronologica e mostrano la memoria come dispositivo narrativo, non solo come retrospettiva esplicativa. Le digressioni assumono valore euristico e non sono incidenti formali, contribuendo a innestare significato nella progressione della storia. Il finale rifiuta una chiusura netta a favore di una sospensione morale che preferisce interrogativi alla soluzione definitiva.

Temi

I temi già presenti nella prima opera trovano qui una profondità ampliata. Colpa e responsabilità vengono indagate nelle loro radici personali e collettive. La memoria si configura come campo di lotta tra versioni contraddittorie della verità. L’identità è rappresentata come processo dinamico e non come stato compiuto. Lo sguardo sul contesto sociale si amplia, mostrando come forze culturali e storiche rimodellino le scelte individuali. La giustizia si sposta dal piano processuale a quello etico, diventando interrogativo aperto.

Evoluzione narrativa

Bozzi dimostra una maturazione nel controllo degli strumenti narrativi e nella politica dei dettagli. Dove prima i particolari servivano primariamente a costruire suspense, ora partecipano alla tessitura tematica dell’opera. L’autore conserva la limpidezza della voce pur sperimentando con la forma, ottenendo un equilibrio fra trama e riflessione. L’universo di Mineo si amplia invece di ripetersi, mostrando coerenza interna e insieme capacità di rinnovamento.

Conclusione

Il nuovo romanzo rappresenta un passo avanti nella costruzione del personaggio e nella voce dell’autore. Chi ha apprezzato il primo libro troverà qui una prosecuzione fedele nei temi ma più ambiziosa nella struttura e nella profondità psicologica. Per chi desidera un’analisi ancora più dettagliata è possibile mettere a confronto estratti significativi capitolo per capitolo oppure costruire una tabella che evidenzi tecniche narrative e scelte lessicali; questa attività chiarirebbe ancora meglio le scelte evolutive dell’autore.

Il mostro di Urbino è un giallo godibile, scattante e ben architettato, con un protagonista che resta addosso e un’ambientazione usata con intelligenza. Consigliato a chi cerca una lettura tesa ma sorridente, capace di far divertire senza sgonfiare il mistero e di far pensare senza appesantire. Se ti piacciono i detective che vincono con le idee più che con i reagenti, Mineo è la compagnia giusta.

Francesco Bozzi

Verso una fiction tv

La presentazione del libro giovedì 18 settembre, alle ore 18.30, nella Sala della Repubblica del teatro Rossini di Pesaro vede la presenza dell’attore Sergio Friscia, una presenza non casuale: magari sarà lui a interpretare Mineo in una prossima fiction tv.

Stefano Fabrizi e Francesco Bozzi

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