L’appello di Slow Fish 2025: “Serve un nuovo ecosistema costiero, e la politica deve sostenerlo”. Il mosciolo di Portonovo a rischio
«Il pescatore deve integrare, e molti lo stanno già facendo, la sua attività primaria con altri progetti che lo trasformino in un guardiano del mare» queste le parole di Gaetano Urzì storico pescatore e portavoce Presidio Slow Food della masculina da magghia nel Golfo di Catania, sono la sintesi perfetta di Slow Fish 2025, la manifestazione di Slow Food Italia dedicata agli ecosistemi acquatici e costieri che saluta oggi il Porto Antico di Genova festeggiando i venti anni dalla prima edizione.
«La pesca attuale non garantisce più un reddito sostenibile, e questa situazione colpisce sia la grande pesca a strascico che vive di sovvenzioni sia quella artigianale – concorda Serena Milano, direttrice di Slow Food Italia, tirando le somme di Slow Fish 2025 -. Il mestiere del pescatore deve essere diversificato, riconoscendogli anche il ruolo di tutela della biodiversità e di custodia degli ecosistemi». Ripensare a questo antico mestiere e cambiare le politiche che lo stanno governando: due fattori affiorati con prepotenza in questi giorni a Genova. «Fondamentale rendersi conto – prosegue Serena Milano – che tutto è connesso: dobbiamo pensare al mare a 360°, la politica deve agire come un unico sistema che tenga legati il mare, le coste e la terraferma».
Tra le fonti integrative di reddito, stanno emergendo sistemi ibridi come pescaturismo, allevamento di ostriche o mitili, vendita diretta del pescato, integrazione con attività turistiche a partire dalla ristorazione. Altre ancora guardano alla prima fascia costiera, dove l’attività del contadino e del pescatore si intersecano per valorizzare il territorio e i suoi prodotti. «Per far questo – continua Serena Milano – serve una politica più attenta, in grado di programmare, che da una parte agevoli chi vuole fare il pescatore e dall’altra lavori per il ripristino e la conservazione dell’ecosistema marino. Senza un impegno serio in tal senso, il settore pesca, che potrebbe per i giovani essere attrattivo se fosse adeguatamente qualificato, riconosciuto e sostenuto, è destinato a scomparire, e con esso un patrimonio economico e culturale della nostra penisola e di tutto il Mediterraneo.
La crisi climatica, l’invasione delle specie aliene, l’inquinamento, il sovrasfruttamento degli stock ittici sono una miscela esplosiva e non bastano misure tampone, circoscritte a periodi di tempo e a singole aree: «In quest’ottica – puntualizza Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia – bisogna agire. Non servono opere faraoniche che stressano ancora di più il mare. Le specie invasive non sono la causa del problema, ma il sintomo. Sono arrivate perché hanno trovato un ecosistema già fragile, con acque sempre più calde e impoverite. Il nuovo mestiere del mare può reggersi solo grazie a politiche che tutelino davvero gli ecosistemi e sostengano la pesca, così come l’agricoltura, non pensando ai prossimi 5 anni, ma ai prossimi 5 secoli».
Naturalmente anche i consumatori devono essere protagonisti di questo cambiamento, adottando comportamenti più virtuosi e attenti e una maggiore consapevolezza negli acquisti: rispettare la stagionalità del pesce, le taglie minime, non concentrarsi più sulle solite specie, e dire basta al pesce di scarsa qualità e a basso costo, spesso presente in circuiti di ristorazione standardizzati.
«Slow Food Italia – conclude Barbara Nappini – ha sempre promosso il consumo di mitili, in quanto sono un alimento stagionale, gustoso e prodotto in modo sostenibile. È un esempio di cibo “pulito”, nel senso che non inquina l’ambiente e non utilizza chimica e antibiotici, al contrario di molti allevamenti intensivi di pesce. I mitili purificano l’acqua e sviluppando il loro guscio contribuiscono al sequestro di CO2 dall’atmosfera. Purtroppo oggi la crisi climatica sta mettendo a dura prova il settore e, nel giro di pochi anni, la situazione è diventata critica».
I pescatori del mosciolo selvatico di Portonovo, ad esempio, non hanno di che pescare: «Da anni assistiamo a una diminuzione della velocità di crescita e anche della disponibilità di risorse – racconta Edoardo Baleani, responsabile Slow Food Ancona e Conero e referente del Presidio che tutela questo mitile -. Le cause sono molteplici, ma la crisi climatica è probabilmente la più importante. Poi c’è il fenomeno della mucillagine, la mancanza di nutrienti nell’acqua, e ovviamente il fattore umano, a cui imputare prelievi eccessivi in determinati periodi. Le problematiche sono complesse, richiedono soluzioni articolate e necessitano di un monitoraggio puntuale. Nell’immediato l’unica azione possibile è prevedere periodi di fermo pesca, per dare modo ai moscioli di riprendersi e rigenerarsi. Ovviamente servono ristori adeguati per questi pescatori professionali, piccole realtà che oggi hanno bisogno del supporto delle istituzioni per sopravvivere. Una cosa sembra ormai chiara: vivere esclusivamente sulla pesca del mosciolo diventa sempre più difficile, e i pescatori devono iniziare a differenziare la propria attività. Quello che auspico è che si trovi un modello gestionale stabile che metta insieme tutte le competenze, quindi enti scientifici e pescatori, amministrazioni, capitaneria. Perché quello che stiamo vivendo è la nuova normalità».
La situazione non è migliore nello Spezzino: «La crisi climatica è alla base di tutti i problemi che abbiamo – afferma senza esitazione Nadia Maggioncalda, della Cooperativa Mitilicoltori Spezzini -. Il mare si sta scaldando, sempre di più, e mentre un tempo la stagione dei muscoli locali durava tre mesi, da giugno ad agosto, oggi agosto dobbiamo scordarcelo, perché le acque sono diventate troppo calde per la loro sopravvivenza. Come se non bastasse, nello Spezzino le orate di allevamento hanno sviluppato un enorme appetito per i nostri muscoli. Tutto questo è aggravato dal fatto che spesso non si tratta di orate autoctone, ma di orate atlantiche, che rispetto alle nostre sono più voraci, più aggressive, più grandi. Quando fuggono dagli allevamenti, non lasciano scampo ai nostri muscoli, che per di più, impiegando due anni per crescere e svilupparsi pienamente, sono esposti ai rischi per un periodo estremamente lungo».
Una crisi analoga a quella vissuta in Puglia, dove le alte temperature estive hanno colpito duramente l’attività dei mitilicoltori del Presidio Slow Food della cozza nera di Taranto, allevata nel Mar Piccolo, un’area protetta, riserva naturale, ma anche un ecosistema chiuso e particolarmente fragile. «Abbiamo perso circa il 70% del seme, e questo ha compromesso non solo la produzione del 2025, ma anche quella del 2026 – spiega Luciano Carriero, referenti dei produttori del Presidio –. È stato un colpo durissimo, perché stiamo parlando di un mestiere che si tramanda di padre in figlio, un mestiere che non ci si può inventare da un giorno all’altro. Alleviamo un prodotto naturale, e la natura può dare come può togliere. Ma non ci arrendiamo, ci siamo rimboccati le maniche. Oggi, ci sono segnali positivi: il nuovo seme è nato, le temperature sono rimaste miti, e i mitilicoltori guardano al 2026 con fiducia. Oggi nel Presidio abbiamo 24 cooperative e centinaia di famiglie. Ma più di tutto, abbiamo una comunità viva, che lotta ogni giorno per difendere il suo mare e il suo lavoro».
Ed è proprio a Taranto, dal 13 al 15 giugno, il prossimo appuntamento da segnare in calendario: la seconda edizione di Mediterraneo Slow, un evento che celebra l’unicità della cultura mediterranea a partire dal cibo, per ricordarci che “veniamo tutti dal mare”.
«Eravamo soliti finire l’ultimo comunicato dell’evento – ricorda Daniele Buttignol, amministratore delegato di Slow Food Promozione – con un arrivederci a Genova nel 2027. Ma le difficoltà organizzative che abbiamo dovuto sostenere quest’anno ci impongono un confronto con le istituzioni, Regione Liguria e Comune di Genova in primis, e chi ha creduto in questa edizione della manifestazione per delinearne il futuro. Abbiamo voluto fare Slow Fish perché crediamo nei suoi contenuti e nell’attualità delle sue tematiche. Ringraziamo il Masaf per il grande supporto, la Camera di Commercio di Genova, la fondazione Carige, il Porto antico di Genova e l’Autorità portuale, storici e nuovi partner che hanno creduto nella nostra iniziativa come Pastificio Di Martino, Quality Beer Academy, Reale Mutua, BBBell, Banca d’Alba, Ricrea, Bormioli Luigi, San Bernardo, eViso e Amiu, e naturalmente le istituzioni regionali e gli espositori presenti. È grazie a loro se Slow Fish 2025 ha nuovamente arricchito il Porto di Genova per quattro giorni. L’ultimo grazie va al pubblico che con interesse, con partecipazione e gioia ha animato gli spazi e gli eventi di Slow Fish 2025».
Slow Fish 2025 è un evento organizzato da Slow Food Italia, con il patrocinio del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste e della Regione Liguria e il sostegno di Fondazione Carige, della Camera di Commercio di Genova e di Liguria Gourmet. La manifestazione è resa possibile grazie anche ai Main Partner Banca d’Alba, BBBell, Pastificio Di Martino, QBA, Reale Mutua, Ricrea, agli In Kind Partner Bormioli Luigi, Porto Antico, Acqua S. Bernardo, al Green Partner AMIU. L’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale è Partner culturale.
Il 6 aprile è il Carbonara Day. Qual è il formato preferito. Tre ricette da tre Carbonara Master
Domani è il Carbonara Day, la giornata dedicata a uno dei piatti simbolo della cucina italiana. E quest’anno si parte da una domanda curiosa: il formato della pasta fa davvero la differenza nella Carbonara? .
Pasta, guanciale, uovo, pecorino romano e pepe nero, cinque ingredienti per la ricetta italiana più amata, discussa e replicata al mondo (tra le più cliccate secondo i report di Google e con quasi un milione di ricerche mensili secondo la classifica di BonusFinder). La carbonara ha mille volti ma, in tutte queste declinazioni, la pasta rimane il minimo comun denominatore, in cui il formato preferito fa la differenza: per tutti gli italiani o quasi (93,4%) il formato di pasta è importante per la buona riuscita del piatto e per quasi 1 italiano su 2 (47,2%) è un elemento molto importante.
La pasta lunga vince sulla pasta corta 6 a 4. Sono, infatti, 6 italiani su 10 (57,9%) a preferire i formati lunghi, contro il 36,8% che preferisce la pasta corta. Prevale inoltre la pasta rigata rispetto a quella liscia: 61% contro il 32,2%. Non sorprende, quindi, che il formato più votato per questo piatto siano gli spaghetti (scelti dal 59,9% degli italiani e il preferito per il 51,7%. Nel 2024, secondo i dati NielsenIQ in Italia ne sono stati consumati oltre 100 milioni di kg). E se tra i formati di pasta corta troviamo i rigatoni (scelti dal 24,6% con un 13,9% che lo dichiara formato preferito) e le mezze maniche (19,5% e 10,0%. Nel 2024 sono stati consumati quasi 69 milioni di kg tra rigatoni/tortiglioni/maccheroni), due formati “classici” della Carbonara, a gran sorpresa, 2 italiani su 10 (19,9%) votano le penne (formato preferito per il 10,1%. Nel 2024 ne sono state consumate 105,5 milioni di kg), che occupano il terzo posto della classifica, dopo i rigatoni e prima delle mezze maniche.
Lo rivela un’indagine demoscopica realizzata da AstraRicerche per i pastai di Unione Italiana Food per indagare il rapporto degli italiani con la regina delle ricette tradizionali del nostro Paese e scoprire quali sono i formati di pasta preferiti dei consumatori quando la portano in tavola. La ricerca è stata realizzata nel mese di febbraio 2025 tramite 1.009 interviste online ad un campione di italiani 18-65enni. Come dire, anche quando si parla di formato, la Carbonara apre le proprie porte verso una dimensione infinita, ed è così che deve essere perché lei è democratica e le piace mettere tutti d’accordo. Per questo il tema della IX° edizione del#CarbonaraDay è #FormatoCarbonara: spaghetto, rigatone, mezza manica o tonnarello, qual è il formato ideale perla Carbonara? Torna il 6 aprile la spaghettata social più amata al mondo – l’anno scorso ne hanno parlato circa 3 milioni di pasta lovers e i pastai italiani di Unione Italiana Food celebrano il piatto di pasta più goloso su Facebook, Instagram e X, per chiedere a tutto il mondo di condividere la propria versione della “carbonara” con il formato del cuore.
La Carbonara è un pezzo della tradizione culinaria italiana che, da sempre, dà adito a una querelle: da un lato i tradizionalisti che la preparano esclusivamente con guanciale e pecorino, dall’altro gli innovatori che vedono questo piatto in maniera versatile e riscrivibile in numerose varianti con pancetta e grana, vegetariana o, addirittura, di mare. Ma su una cosa sono tutti d’accordo, il formato di pasta ideale per la carbonara è quello che raccoglie meglio il condimento (72,3%), deve anche essere facile da mantecare (26,9%) e da mangiare (21,6%).
Gli italiani e la carbonara, una passione da preparare a casa più volte al mese per oltre 1 italiano su 2
Partiamo da una premessa: quella con la Carbonara è una relazione basata su una dichiarazione d’amore e fedeltà, da gustare quando si mangia fuori, ma soprattutto da preparare e mangiare all’interno delle proprie mura domestiche: più di 1 italiano su 2 (55,3%) la prepara più volte al mese e più di 1 su 5 (21,5%) lo fa una volta al mese. Solo il 4,3% dichiara di non prepararla mai a casa. E se le fazioni dei Carbonara lovers si dividono tra puristi e innovatori, su una cosa concordano: gli ingredienti per prepararla, escludendo la pasta, sono quattro, ma il guanciale è quello considerato essenziale per oltre 6 italiani su 10 (61,1%) e deve essere croccante (43,8%) o almeno leggermente croccante (45,3%).
Il motivo di tanta passione verso questa ricetta è legato ad una questione di palato: per 6 italiani su 10, la carbonara piace soprattutto perché è golosa, a cui fa seguito il suo essere un piatto della tradizione (29,1%). Ma c’è anche chi le riconosce un ruolo nel generare buonumore: per 1 italiano su 4 (25,3%) mette allegria per il suo gusto e i suoi colori. Tra le altre ragioni ci sono il suo essere un piatto dai sapori bilanciati (22,7%) e veloce da preparare (20,1%).
Ognuno ha il suo preferito ma 8 italiani su 10 proverebbero la carbonara con formati unconventional
Le motivazioni per la scelta del formato sono diverse: il 35,9% degli intervistati dichiara di scegliere un determinato formato perché lo ritiene quello che meglio si sposa con la ricetta, in quanto raccoglie meglio il sugo, mentre il 26,6% lo sceglie in base al proprio formato preferito in generale, a prescindere dal condimento; ancora, il formato viene scelto perché è considerato quello tradizionalmente più utilizzato per la carbonara (19,5%) o semplicemente per abitudine (17,8%). Nonostante le preferenze personali in tema di formato di pasta, la maggioranza degli intervistati (84,0%) si dichiara comunque disposta a cucinare la carbonara con un formato di pasta considerato meno tradizionale: 56,9% abbastanza e 27,1% molto. E sempre per via della preferenza dei formati lunghi per la preparazione della carbonara, l’alternativa più votata sono le linguine (26,5%). Seguono sedani (12,6%) e vermicelli (10,4%). Molto diversa la classifica per i 18-29enni che subito dopo le linguine scelgono ravioli, conchiglie e orecchiette.
La carbonara è il piatto che vanta più imitazioni nella storia della gastronomia recente: secondo il rapporto dell’Accademia Italiana della Cucina è la ricetta più interpretata all’estero, mentreil New York Times cita un articolo di Ian Fisher, “Pasta Carbonara, an Unlikely Stand-In”, secondo il quale ci sarebbero 400 versioni di carbonara in giro per il mondo. E, sempre più spesso, l’ispirazione arriva dal web. Secondo Margherita Mastromauro, Presidente dei pastai di Unione Italiana Food, “Ci sono ricette capaci di emozionarci anche fuori dal piatto. La Carbonara è il caso più eclatante e forse oggi possiamo definirla il laboratorio della pasta che intercetta nuovi stili di vita e modalità di consumo, tra rielaborazioni e improvvisazioni dell’ultimo minuto, tra ingredienti nuovi e formati non convenzionali. E va benissimo così. È una sorpresa per noi pastai riscontrare nel consumatore una consapevolezza così alta dei 500 formati di pasta che il mercato mette a disposizione e dell’apertura a quelli meno convenzionali da abbinare alla Carbonara. Questo piatto è sinonimo di libertà e le tante versioni in tutto il mondo di questo piatto ne sono la prova. La pasta ha così successo nel mondo perché è buona e versatile”.
Luciano Monosilio, Sarah Cicolini, Barbara Agosti
Tre ambassador d’eccezione: Barbara Agosti, Sarah Cicolini, Luciano Monosilio
Il Carbonara Day si festeggia ogni anno il 6 aprile ed è la “spaghettata social” più grande del mondo dedicata alla ricetta di pasta più condivisa. Basti pensare che sul solo Instagram sono oltre 2 milioni i contenuti con l’hashtag #Carbonara. Ideato nel 2017 dai pastai di Unione Italiana Food, il #CarbonaraDay ha raggiunto in 6 anni una platea potenziale di 1,7 miliardi di persone, diventando un appuntamento imperdibile per food influencer, media, cuochi e appassionati che desiderano condividere opinioni a proposito di questo piatto e, più in generale, sul rapporto tra tradizione e contaminazione in cucina. Per questa 9ª edizione, i pastai di Unione Italiana Food hanno coinvolto tre Carbonara Master d’eccezione, ognuno esperto di differenti formati: Barbara Agosti (Eggs) l’ambasciatrice della Carbonara a Milano che si diverte a prepararla con i formati più creativi, Sarah Cicolini (SantoPalato), la stella cometa della cucina romana che per la Carbonara sposa il rigatone, e Luciano Monosilio (Luciano Cucina Italiana), il Re indiscusso della Carbonara e maestro del formato con lo spaghetto.
#CarbonaraDay, la “spaghettata” social più grande del mondo che coinvolge milioni di persone
“Formato Carbonara” vive, infatti, anche sui social. I food ambassador Maria Stella (@burrataepistacchi), Alexandro Basta (@alexandro_b), Carlotta Gennari e Carolina Parri (@Moodlyfood) realizzeranno la loro Carbonara, ciascuno con un formato diverso. Per partecipare all’evento virtuale le regole sono semplici: il 6 aprile basterà seguire gli hashtag #CarbonaraDay e #FormatoCarbonara e cimentarsi in dirette video, condividere opinioni, foto e consigli su Instagram, Facebook e X.
Le versioni dei tre Carbonara Master
C’è chi ci mette le uova intere e chi solo i tuorli. Chi usa boule di acciaio, chi di plastica e chi di vetro. C’è però una cosa che hanno in comune le carbonare di Barbara Agosti (Eggs), Sarah Cicolini (SantoPalato), Luciano Monosilio (Luciano Cucina Italiana): sono tra le più apprezzate della Capitale e non solo. Ecco, quindi, le loro tre ricette in occasione del #CarbonaraDay — la spaghettata social voluta da Unione Italiana Food, giunta alla 9ª edizione.
Barbara Agosti
1.BARBARA AGOSTI (EGGS)
Ingredienti per 4 persone: 400g di mezze maniche di semola di grano duro trafilata al bronzo, 200g di guanciale, 280g di Pecorino Romano Dop, 4 tuorli d’uovo da allevamento sostenibile, 2 albumi d’uovo, pepe nero q.b.
Procedimento: Mettere a bollire l’acqua, senza salarla. Tagliare a dadini il guanciale, in proporzioni armoniche. Quando l’acqua bolle, versare le mezze maniche. In una bastardella di metallo unite i tuorli, l’albume, il pecorino e il pepe per formare uno «zabaione salato». Lavorare il composto con una frusta e lasciarlo riposare. In un tegame cuocere il guanciale fino a che diventa croccante. Quando la pasta è quasi al dente, versare il guanciale con il suo olio di cottura nella ciotola e mescolare energicamente con lo zabaione salato per formare un composto denso. Scolare la pasta e unirla al condimento. Se necessario aggiungere pecorino e grana padano. Innervare con una spolverata di pepe. Guarnire con i dadini di guanciale croccante che avrete messo da parte.
Sarah Cicolini
2.SARAH CICOLINI (SANTO PALATO)
Ingredienti per 4 persone: 500g di spaghetti, 5 tuorli d’uovo, 60g di albume d’uovo, 300g di guanciale tagliato a cubetti, privato di pepe e cotenna, 200g di pecorino romano grattugiato, sale e pepe q.b.
Procedimento: Portare ad ebollizione l’acqua e salarla. Nel mentre scaldare una padella di ferro e adagiarvi il guanciale. Proseguire la frittura girando di tanto in tanto, facendo in modo che tutti i lati diventino croccanti. Mettere da parte il grasso del guanciale bollente. Asciugare i cubetti croccanti di guanciale su carta assorbente. Mettere le uova (tuorli ed albumi) in una boule, iniziare a mischiarle con il grasso del guanciale ed il pecorino romano. Girare energicamente mettendo la boule sull’acqua in ebollizione, in modo da fare un bagnomaria e pastorizzare le uova. Cuocere gli spaghetti nell’acqua salata e scolarli 2 minuti in anticipo. Mettere del grasso di guanciale in una padella capiente, accendere il fuoco ed aggiungere un po’ di acqua di cottura della pasta. Mantecare per 3 minuti circa, spegnere il fuoco e versare nella padella il composto di uova, grasso del guanciale e pecorino. Amalgamare per bene il tutto e, se necessario, aiutarsi con l’acqua di cottura per raggiungere la consistenza cremosa. Finire il piatto con il guanciale croccante, pecorino a piacimento e pepe macinato.
Luciano Monosilio
3.LUCIANO MONOSILIO (LUCIANO CUCINA ITALIANA)
Ingredienti per 4 persone: 280 g Spaghettoni, 200 g guanciale, q.b. sale grosso
Per la “Carbomix”: 4 tuorli d’uovo, 30 g Grana Padano grattugiato, 20 g Pecorino Romano grattugiato, 30 g c.a. acqua di cottura, 20 g pepe nero macinato, q.b. grasso di guanciale
Per la finitura: 20 g Pecorino Romano grattugiato, q.b. pepe nero macinato
Procedimento: Portare ad ebollizione l’acqua di cottura della pasta e salare (sale al 10% per litro d’acqua). Pulire bene il guanciale dalla cotenna utilizzando un coltello a sega, tagliare quindi a fette di circa mezzo cm e ricavare dei cubetti. Scaldare leggermente una padella antiaderente, quindi aggiungere il guanciale e farlo sudare dolcemente: in questo modo rilascerà il proprio grasso all’interno del quale il guanciale andrà a rosolarsi uniformemente. Mano a mano che il guanciale rilascia il grasso, scolarlo dalla padella filtrandolo attraverso un colino a maglia fine. Calare gli spaghetti in acqua salata fino a cottura completa. Scolare il guanciale su un foglio di carta assorbente. Versare i formaggi in una ciotola capiente, quindi aggiungere i tuorli d’uovo. Macinare il pepe all’interno della ciotola. Versare un mestolino d’acqua di cottura ed amalgamare gli ingredienti con una frusta, fino ad avere un composto omogeneo. Versare circa metà del grasso del guanciale all’interno del mix. Cuocere il composto a bagnomaria, come se fosse uno zabaione, frustando e sbattendo di continuo e con un’andatura lenta. Il composto sarà pronto, quando, velando un cucchiaio o una spatola, sarà possibile segnare una linea netta con il dito, senza che il tuorlo “coli”. Scolare molto bene la pasta, che deve risultare completamente asciutta, e conservare l’acqua di cottura. Aggiungere un po’ d’acqua di cottura all’interno della ciotola e mescolare bene. Finire di mantecare la pasta riportando la ciotola sul bagnomaria. Una volta ben mantecata aggiungere il guanciale, ancora un mestolo d’acqua e riportare sul bagnomaria. Mescolare bene quindi lasciare riposare per circa 1 minuto sul bagnomaria. Impiattare lo spaghetto a nido, aiutandosi con pinze e mestolo. Completare con una spolverata di pecorino romano ed una macinata di pepe di mulinello.
Anna Yi Lan Zhang è la trionfatrice dell’edizione di MasterChef Italia 2025
Un voto all’unanimità in chiusura di una stagione emozionante e con ascolti record: Anna Yi Lan Zhang è latrionfatrice di questa edizione di MasterChef Italia. A proclamarla, nell’ultimo appuntamento stagionale del cooking show Sky Original prodotto da Endemol Shine Italy ieri in esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW, Giorgio Locatelli, affiancato dai due colleghi giudici Bruno Barbieri e Antonino Cannavacciuolo. Anna ha 32 anni, è nata a Milano con origini cinesi e ora a Venezia; sul podio con lei anche Jack, content creator di 26 anni di Cesano Boscone (Milano), e Simone, imprenditore edile di 35 anni di La Morra (Cuneo). Quarto posto per Mary, manager risorse umane di 30 anni di Milazzo (Messina) e residente oggi a Villongo (Bergamo).
Alla vincitrice 100.000 euro in gettoni d’oro, un corso di alta formazione presso ALMA – La Scuola Internazionale di Cucina Italiana e il suo primo libro di ricette: “Pentole e zodiaco”, in uscita l’11 marzo (Baldini+Castoldi).
Si chiude quindi una stagione premiata da ascolti molto positivi: è stata l’edizione più vista degli ultimi 4 anni, con una media di 889mila spettatori medi tra TV e second screen; nei sette giorni (quindi finale esclusa) la media è di 2.169.000 spettatori medi.
E gli ascolti sono altissimi anche per l’ultimo appuntamento dello show di giovedì 27 febbraio 2025, su Sky Uno/+1 e on demand: media serata in Total Audience di 1.112.000 spettatori con il 6% di share. In particolare, il primo episodio sempre in Total Audience ha raggiunto 1.164.000 spettatori medi il 5,4%di share (in tv 1.482.000 contatti e il 74% di permanenza); il secondo ha totalizzato 1.059.000 spettatori medi e il 7% di share (in tv 1.409.000 contatti e il 70% di permanenza).
Sui sette giorni, gli episodi di una settimana fa raggiungono una media, tra TV e second screen, di 2.044.000 spettatori.
Sui social il cooking show ha raggiunto 321mila interazioni Social TV Audience in rilevazione Linear e quasi 361mila interazioni nella rilevazione Same Day 24/7, rispettivamente +99% e +63% rispetto alla serata precedente. Su X le parole collegate a MasterChef Italia più utilizzate durante la serata sono l’hashtag ufficiale del programma, i nomi dei 3 giudici e quelli di tutti i finalisti (fonti: Talkwalker, Trends24.in).
La proclamazione di Anna è avvenuta al termine dell’ultimo episodio di questa edizione, quello in cui i tre protagonisti della finalissima di sono sfidati presentando un proprio menù completo in quattro portate, valutato direttamente dai tre giudici.
Prima di iniziare il proprio percorso a MasterChef Italia, la neo-vincitrice raccontava quella col senno di poi sembra una premonizione: «Mi sono vista più volte con i coriandoli che cadono su di me nello studio». Anna cucina da sempre: ha imparato dalla madre tutto quello che c’è da sapere sulla cucina orientale, quella europea invece l’ha studiata.
Parlando di sé, diceva: «Anna prima mi piaceva di più anche per un discorso di facilità di integrazione, adesso ho fatto inserire anche il nome cinese perché la mia cultura mi ha arricchita». Il suo nome in origine è Anna Yi Lan, i suoi genitori sono emigrati dalla Cina per avere un’altra figlia perché lì c’era la “legge del figlio unico”: quando lei è piccolissima si trasferiscono in Veneto, ma dopo le superiori torna a Milano per iniziare un percorso nella comunicazione della moda. Qui inizia a lavorare come come sales manager in boutique di lusso ma si rende conto di non essere del tutto appagata perché, raccontava, «il mondo della moda non parlava la mia stessa lingua dell’amore»: così, durante il lockdown, legge libri di autori cinesi che la ricollegano con le sue radici, quindi prende coraggio e si licenzia. Ad oggi lavora saltuariamente come modella ma ha in testa l’immagine di «una grande tavolata costituita da persone provenienti da culture diverse che mangiano lo stesso cibo in armonia: io vorrei essere l’artefice di questo banchetto».
Alla vigilia del suo ingresso in Masterclass diceva che in caso di vittoria avrebbe voluto continuare a studiare cucina e aprire un suo ristorante nel rispetto degli sprechi, ponendosi come obiettivo la stella verde Michelin.
Il suo menù della finalissima si chiama “L’Eden di YilAnna”, e vede come antipasto “Albero della vita e il suo elisir” (chips di riso verdi con capasanta marinata, mela verde e daikon, aioli alla menta, zenzero e finger lime, servito con un elisir di kombucha e agrumi), il primo “Il sorriso di mia madre” (raviolo ripieno di garusoli, fungo ostrica e guanciale, tobiko e dashi di zafferano), il secondo “Il potere del tempo” (pancia di maiale stufata e laccata con spezie orientali, insalata croccante di cetrioli, susine gialle e peperoncino, ricci di mare) e il dessert “Uguale babà no?” (babà al rum e osmanto, mousse di mozzarella e cocco, olio al tagetes).
Lo ha descritto così: «Un menù che è inevitabilmente legato al mio progetto di vita: un’oasi in cui ritrovare il benessere attraverso il cibo. Piatto dopo piatto se ne scoprono le fondamenta, ovvero gli elementi che hanno plasmato l’Anna che c’è oggi. Ho trovato nella cucina il mio modo di comunicare ciò che realmente sono – ha proseguito la nuova MasterChef italiana – perché per tutti sono sempre stata troppo cinese per essere italiana e troppo italiana per essere cinese. Oggi voglio esprimere l’unione e l’integrazione dei miei sapori, figli di un incontro necessario tra culture diverse e che insieme ambiscono a ricreare un equilibrio perfetto, una sorta di paradiso terrestre: L’Eden di YilAnna».
Anche i menù degli altri due finalisti hanno ricevuto grandi complimenti da parte dei giudici. Jack ha proposto “Ci vediamo dall’altra parte!”, che lui ha presentato così: «Detto così può sembrare strano, quasi tetro, ma ha un significato profondo. La prima volta che sentii questa frase me la disse un mio caro amico prima di partire per il giro del mondo, ricordando che comunque andrà noi ci rivedremo. È l’augurio di rivedersi, di tornare uniti al termine di un percorso che ci ha segnati, che esorcizza il timore, sfidando a testa alta la paura stessa, anche di noi stessi. Così – ha aggiungo Jack – col mio menù voglio far fare un viaggio, attraverso ingredienti, sapori e cotture derivanti da ogni angolo più remoto del globo, partendo da un road-trip europeo, prima di un volo Italia-Giappone con scalo in Alaska, continuando per le profondità dei mari e concludendosi in un prato fiorito. E questo è ciò che voglio trasmettere, perché per me, con questo menù, si chiude un ciclo, un ciclo che mi ha fatto crescere e portato alla scoperta radicale dei miei sapori e idee. Ma nonostante questa cosiddetta fine, voglio sfidare a testa alta la paura della fine stessa, con i piatti che più mi descrivono, con l’augurio di “rivederci dall’altra parte”».
Il menù di Jack era così composto: come antipasto “Road Trip”, uno scampo cotto sulla griglia giapponese, salsa pil pil di scampi e wasabi, olio all’aneto, crema di zucca sweet&sour all’arancia; come primo “Giro delmondo”, appelletti con ripieno di king crab al plancton, brodo dashi, lamelle di daikon e caviale; come secondo “Profondo bianco”, moro oceanico con beurre blanc al sake, pepe di szechuan e togarashi, uva di mare, crema ai piselli e aglio orsino; come dessert, “Fioritura”, un gelato ai fiori di sambuco, gel al lime e jalapeno, crumble alla vaniglia, tuile di moscovado con polvere di sambuco e brodo di fragole e fiori di sambuco.
Simone invece ha presentato “Un giro nelle Langhe”, da lui descritto così: «Questo menù è dedicato alla mia terra, dove sono nato e cresciuto e alla quale devo tanto. Tutti gli ingredienti di questo percorso sono legati alla tradizione piemontese, in particolare delle Langhe. Ho voluto portare innovazione in ognuno di questi piatti, che con i loro sapori e profumi mi riportano sempre a casa. E casa per me è famiglia».
Il menù era così composto: antipasto “Il vitello abbraccia il tonno”, vitello e tonno con spuma di salsa tonnata e polvere di capperi; primo “L’Alba nel piatto”, un raviolo bicolore con tuorlo morbido e fonduta e tartufo bianco; come secondo “Anatis”, anatra cotta a bassa temperatura e il suo fondo, funghi porcini, crema di peperoni gialli; infine, come dessert, “Il Barolo incontra ilmascarpone”, un crumble di nocciole, crema al mascarpone e salsa al Barolo.
A un passo dall’Olimpo si è fermata Mary, che non ha superato la Mystery Box e l’Invention Test ideati dallo chef Mauro Colagreco, 3 stelle Michelin al “Mirazur” a Mentone in Francia. Lo “chef globale del nuovo secolo”, primo argentino a raggiungere la vetta dei World’s 50 Best Restaurants, ha portato in Masterclass i suoi quattro universi gastronomici (la frutta con il cedro, i fiori con il fiore di Cosmos, le foglie con la lattuga asparago, le radici con il sedano rapa), tanto affascinanti quanto complicati da trattare in cucina.
Intanto sono già aperti i casting per la prossima edizione. Per iscriversi basta andare sul sito masterchef.sky.it oppure scrivere su WhatsApp al numero +39 348 1501820.
La pizza è la pietanza più ricercata. E quella che piace di meno? La pizza Hawaiana è terza sul podio, ma altre due deludono di più
Qual è la pietanza italiana più conosciuta e consumata al mondo? Se la prima cosa che ti è venuta in mente è la pizza, hai indovinato! Con oltre 3,6 milioni di ricerche mensili online a livello globale e più di 75 milioni di hashtag su Instagram, la pizza si conferma uno dei piatti più amati in tutto il pianeta.
Spinto dalla curiosità di scoprire quale sia la pizza più amata dagli italiani, Bonusfinder Italia ha analizzato le 20 pizze più popolari, valutando il numero di ricerche mensili su Google e gli hashtag su Instagram. Con questo metodo siamo riusciti a scoprire quali pizze faticano a conquistare il palato (e i social) degli italiani.
La Pizza alla Genovese si aggiudica il titolo di pizza meno amata dagli italiani, con un punteggio complessivo di 0.48 su 10. Questa variante, meno conosciuta rispetto alle classiche, non è riuscita a conquistare il palato degli italiani, registrando il numero più basso di ricerche e hashtag.
Subito dopo troviamo la Pizza Prosciutto e Funghi, con un punteggio di 1.33 su 10. Nonostante sia un abbinamento popolare in molte pizzerie, sembra che non riesca a entusiasmare a livello nazionale. Ancora più discussa è la Pizza Hawaiana, che con 2.47 su 10 si conferma una delle più divisive. L’abbinamento ananas e prosciutto continua a non convincere il pubblico italiano, confermando il dibattito tra chi la ama e chi proprio non riesce ad accettarla.
A seguire, la Pizza Bufalina si posiziona al quarto posto, con un punteggio di 2.86 su 10. Sebbene la mozzarella di bufala sia molto apprezzata, questa variante non ha ottenuto la stessa popolarità di altre pizze tradizionali. La Pizza Tonno e Cipolla e la Pizza Boscaiola, si piazzano entrambe con un punteggio di3.24 su 10.
A chiudere la lista delle pizze meno amate c’è la Pizza Ortolana, che con 3.33 su 10 non riesce a imporsi tra le preferenze. Anche la Pizza Quattro Formaggi, solitamente apprezzata dagli amanti dei sapori intensi, si ferma a 4.10 su 10, mentre la Pizza Siciliana e la Pizza Salsiccia e Friarielli, entrambe con un punteggio intorno ai 4.20 su 10, non raggiungono la popolarità delle varianti più tradizionali.
Il Festival Pikkanapa ospita la 102° tappa dell’8° edizione dell’International Street Good a Jesi dal 29 agosto al 1° settembre
Taglia l’ambizioso traguardo dei dieci anni la manifestazione “PIKKANAPA – Festival e Mostra Mercato del Peperoncino e della Canapa” che si svolge nel Centro storico di Jesi (AN) dal 29 Agosto al 1° Settembre, e ospita anche quest’anno in Piazza Boccio Pontelli dalle ore 18.00 alle 24.00, la 102° tappa dell’VIII Edizione dell’International Street Food, la più importante manifestazione di street food esistente in Italia, organizzata da Alfredo Orofino, Presidente di A.I.R.S. (Associazione Italiana Ristoratori di Strada), con il Patrocinio del Comune di Jesi.
PIKKANAPA è la prima e unica manifestazione italiana a unire Peperoncino e Canapa, due piante di potere e due ingredien in grado di legare insieme lo sviluppo economico, il recupero e la salvaguardia della tradizione, la promozione del benessere, la buona gastronomia e la promozione turis ca del territorio.
Il programma della lunga manifestazione prevede convegni a tema, degustazioni e abbinamen sa vamente pikkan , laboratori per grandi e bambini, espositori da tutta Italia.
Evento centrale sarà anche quest’anno la finalissima nazionale del Campionato Italiano di Mangiatori Super Hot! A condurre l’evento, che si svolgerà Domenica 1° settembre alle ore 21.00 in Piazza Federico II, sarà GIANCARLO GASPAROTTO “JACK PEPPER”, Guinness dei Prima dei Mangiatori di Peperoncino, Campione Europeo e detentore della League Of Fire European Belt.
Con questa edizione PIKKANAPA dà anche il via ad un nuovo rapporto di collaborazione con la CNA ANCONA che proporrà il mercatino “Sapori e Mestieri” in Piazza Colocci e curerà l’incontro sindacale “Costruire l’alleanza per la canapa”, un incontro tra associazioni di categoria e di se ore per salvaguardare il se ore della Canapa e promuovere la modifica dell’emendamento al DDL Sicurezza.
Sodalizio oramai consolidato quello con INTERNATIONAL STREET FOOD di ALFREDO OROFINO, l’inizia va dedicata al cibo di strada di qualità ha ormai conquistato il grande pubblico e conta quest’anno ben 150 tappe, distribuite lungo tutto lo stivale fino alla fine di novembre 2024. Un calendario intenso di eventi , che sta toccando tutti gli angoli del Paese, permettendo al numeroso pubblico di assaporare le migliori specialità italiane e straniere, all’insegna della qualità, della passione per il buon cibo e della convivialità. Un appuntamento di grande originalità per le cucine internazionali presenti , che non dimenticheranno le realtà gastronomiche regionali provenienti da tutta Italia.
A Jesi sarà possibile gustare tra le molte specialità gli arrosticini, la cucina siciliana, gli smash burgher, la paella, il pulled pork, i cornetti ischitani, il kurtos ungherese, la cucina messicana, la pasta mantecata, la cucina argentina. Per l’occasione, ogni chef dell’International Street Food presenterà anche una rivisitazione del suo prodotto in versione piccante! Saranno presen anche birrifici ar gianali di eccellenza, italiani, europei oltre a quelli internazionali.
Giornata Mondiale del Pomodoro (15 giugno), lo chef Ciro propone la pizza ai tre pomodori
Lo chef napoletano Ciro che lavora a Brescia onora l’ingrediente principe della pizza con una sua personale creazione: la pizza divisa in tre parti coi pomodori simbolo dell’integrazione tra Nord, Centro e Sud Italia. Lo chef Di Maio: “Amo il pomodoro è l’anima della pizza, rosso come il cuore”. I tre pomodori scelti sono quelli classici della tradizione: il San Marzano dell’agro sarnese-nocerino, il datterino siciliano e il pomodorino giallo campano del Piennolo. Ecco perché il pomodoro fa bene.
l 15 giugno è la giornata mondiale del pomodoro. Un frutto (sì, è un frutto e non una verdura come alcuni credono: contiene semi al suo interno e cresce dal fiore della pianta) che è al centro di moltissime preparazioni culinarie, tra queste la pizza.
II pomodori sono un’eccellente fonte di luteina, vitamina C e licopene (che si attiva con la cottura), i quali sono potenti antiossidanti, che proteggono contro la formazione di radicali liberi e quindi contro malattie degenerative come lo sviluppo delle cataratte e la degenerazione maculare. Il pomodoro è considerato utile nella prevenzione del cancro del colon per il suo alto contenuto di beta carotene; e del cancro alla prostata. Non solo. Le fibre, il potassio, la vitamina C e la colina contenuti nei pomodori, sono riconosciuti alleati della salute cardiovascolare. Ancora, l’acido folico previene la formazione di un eccesso di omocisteina nel corpo umano, che interferisce con la produzione di serotonina, dopamina e noradrenalina, che sono gli ormoni responsabili del senso di benessere e che regolano l’umore, il sonno e l’appetito.
Probabilmente nessuno ci pensa, quando mangia un pomodoro, ma i suoi effetti sulla salute sono davvero importanti. Per questo, in occasione della giornata mondiale del pomodoro, chef Ciro di Maio ha deciso di proporre una pizza particolare, divisa in tre parti, con sopra tre pomodori che rappresentano l’unione e l’inclusione tra gli stili culinari. I tre pomodori scelti sono quelli classici della tradizione: il San Marzano dell’agro sarnese-nocerino, il datterino siciliano per la sua sapidità e il pomodorino giallo campano del Piennolo per la sua dolcezza.
“Amo il pomodoro, lo considero uno dei pilastri fondamentali della mia dieta e per questo lo propongo, in svariati modi, in quasi tutte le mie ricette”, spiega Di Maio. “Il pomodoro è rosso come il cuore, è il simbolo stesso della pizza, assieme ovviamente alla mozzarella con cui si sposa. Per questo ho deciso di fermarmi un attimo e di pensare ad una creazione che potesse onorarlo. Da qui nasce l’idea della pizza coi tre pomodori, che poi è anche un tentativo di unione e pace in un momento storico di forte divisione, anche in Italia”. Ricordiamo che Ciro Di Maio nasce a Frattamaggiore, un comune del Napoletano, nel 1990. Mamma casalinga, papà dal passato burrascoso. Nel 2015, la svolta: trova un lavoro da pizzaiolo per una grossa catena in Lombardia, poi riesce a rilevare quella pizzeria assieme a sei soci, infine diventa titolare unico. È così che è iniziata l’avventura “San Ciro”, il suo locale che oggi impiega una quindicina di persone ed è noto per la veracità delle sue pizze, ma anche per il suo menù alla carta di alta cucina. Per chi volesse assaggiare la ricetta di Ciro, il suo locale, “San Ciro” si trova a Brescia (vicino al multisala Oz, in via Sorbanella) che oggi è noto per la veracità delle sue pizze, ma anche per il suo menù alla carta di alta cucina. Un locale amato perché rappresenta la tradizione napoletana, a partire dagli ingredienti: olio dop, mozzarella di bufala campana dop, pomodorino del Piennolo, ricotta di bufala omogeneizzata e porchetta di Ariccia Igp.
La scheda
Ciro Di Maio nasce a Frattamaggiore, un comune del Napoletano, nel 1990. Mamma casalinga, papà dal passato burrascoso. Le sue prime esperienze nel lavoro sono a 14 anni, poi si iscrive all’Alberghiero, ma a 18 anni lascia gli studi e inizia a lavorare. Nel 2015, la svolta: trova un lavoro da pizzaiolo per una grossa catena in Lombardia, poi riesce a rilevare quella pizzeria assieme a sei soci, infine diventa titolare unico. È così che è iniziata l’avventura “San Ciro”, il suo locale a Brescia (vicino al multisala Oz, in via Sorbanella) che oggi impiega una quindicina di persone ed è noto per la veracità delle sue pizze, ma anche per il suo menù alla carta di alta cucina. Un locale amato perché rappresenta la tradizione napoletana, a partire dagli ingredienti: olio dop, mozzarella di bufala campana dop, pomodorino del Piennolo, ricotta di bufala omogeneizzata e porchetta di Ariccia Igp. Fondamentale è la pasta: ogni giorno viene scelto il livello esatto di idratazione, in base all’umidità di giornata. In menù ha la pizza verace, ma anche il battilocchio, la pizza fatta da un impasto fritto nell’olio bollente e subito servito avvolto in carta paglia.
Le pizze sono tutte diverse, sono fatte artigianalmente. Ciro lo ripete spesso. “Mi piace tirare le orecchie alle pizze, ognuna ha il suo carattere e deve mostrarlo, odio le pizze perfettamente rotonde e se c’è più pomodoro da una parte rispetto ad un’altra è perché usiamo pomodori veri”. Molti i vip che lo amano, le pareti del suo ristorante sono piene di fotografie. Tra le altre anche Eva Henger, che è stata a cucinare pizze una sera da lui. Senza dimenticare i giocatori del Brescia Calcio e del Germani Brescia, che quando possono, anche dopo le partite, lo passano a salutare. Ciro ama le iniziative benefiche.
Oltre al lavoro in carcere per formare i detenuti a diventar pizzaioli, Ciro si è dedicato anche alla formazione nel Rione Sanità di Napoli, un quartiere che gli ricorda la strada in cui è cresciuto, via Rossini a Frattamaggiore. L’istituto che ha accolto il suo progetto è stato l’Istituto alberghiero D’Este Caracciolo, ha portato a termine delle lezioni online a dei ragazzi che seguono l’indirizzo enogastronomico e l’indirizzo sala e accoglienza.
Paccheri allo Scarpariello, la ricetta napoletana diventa un trend: due milioni di visual per Chef Ciro Di Maio
Pasta, formaggio e pomodori: il piatto dei calzolai napoletani torna in auge su Tik Tok. La ricetta proposta dallo chef-pizzaiolo napoletano Ciro di Maio, noto per insegnare l’arte della pizza ai detenuti in carcere. Ricetta di riciclo, ha una sua valenza etica. “Lo scarpariello rispecchia l’anima napoletana, io lo servo su un piatto fatto di pane”
Si chiama “scarpariello” ed è la sintesi della cultura napoletana in cucina. È un primo piatto di pasta, è il racconto di una tradizione. Perché non tutti sanno che lo scarpariello nasce all’inizio del secolo scorso nei Quartieri Spagnoli di Napoli, una delle zone più popolari del capoluogo campano. In quel quartiere, un tempo, puntellato di aziende del settore del calzaturificio, lavoravano gli “scarpari” (calzolai, ndr) coi loro raffinati prodotti artigianali. Furono loro a ideare, più per necessità che per passione da gourmet, la “pasta del calzolaio”. Ricetta veloce e a basso costo: gli ingredienti di base erano sughi avanzati dal giorno prima (spesso della domenica), pasta (o pane) e formaggio, che arrivava agli “scarpari” dai contadini che non avevano altro con cui pagarli.
Un secolo dopo la nascita della “pasta del calzolaio” a Napoli non si è ancora affievolita la passione per quella ricetta, che è stata portata alla quintessenza con la scelta dei paccheri e del pomodoro. Si tratta di un sugo a base di pomodorini, arricchito in fase di mantecatura con formaggio grattugiato. Per questo la pasta allo scarpariello è una ricetta “di riciclo”, poiché è possibile recuperare i formaggi avanzati in frigorifero e uniti a qualche pomodoro, che diventa una crema morbida e saporita.
Ebbene, la storica ricetta napoletana sta vivendo una nuova vita grazie a Ciro di Maio, chef napoletano con la passione della pizza che a Brescia ha aperto il suo “San Ciro”, dove propone le ricette della tradizione campana (oltre ad essere impegnato nel volontariato: insegna l’arte della pizza ai carcerati).
Ciro ha realizzato un video raccontando i “suoi” Paccheri allo Scarpariello (ha scelto pecorino romano dop assieme a grana grattugiato, condimento con basilico, prezzemolo e peperoncino, olio e aglio) e li ha impiattati su una cialda di pane, poi chiusa come fosse una sorta di “pignatta”, la stessa che usavano i calzolai quando si portavano in azienda il lunedì la pasta con gli avanzi della domenica. Sarà stato il suo tono scanzonato, o forse la bellezza della ricetta, o l’acquolina in bocca che ha generato in chi lo guardava. È diventato virale e non cessa di esser visto.
“Per me è un orgoglio promuovere la tradizione della cucina napoletana da Brescia, dove oggi lavoro”, spiega lo chef Di Maio. “I Paccheri allo Scarpariello sono l’emblema della cucina povera, che però ha dentro tutti i gusti migliori della campania. Quando ho proposto la ricetta, raccontata in stretto napoletano, sul profilo Tik Tok di San Ciro non immaginavo tanto successo. Siamo a 2,1 milioni di visualizzazioni e quasi duemila commenti. Raccontare ai giovani le nostre tradizioni è fondamentale e riuscirci su canali social presidiati dai ragazzini è davvero fonte di speranza per il mantenimento della tradizione culinaria napoletana. Anche perché la bellezza di questo piatto è che è figlio della cultura del riuso degli ingredienti poveri, che uniti insieme creano ricette che il mondo ci invidia”.
SCHEDA DI APPROFONDIMENTO: PACCHERI ALLO SCARPARIELLO, LA RICETTA DI CIRO Gli ingredienti per preparare lo scarpariello (ricetta per 4 persone) 400 g di paccheri Pomodorino del Piennolo (600 grammi) Formaggio grana grattugiato Pecorino romano dop Olio extravergine d’oliva dop campano Sale q.b. 2 spicchi di aglio Prezzemolo Peperoncino Abbondanti foglie di basilico fresco
LA PREPARAZIONE Far soffriggere in un fondo d’olio gli spicchi di aglio. Aggiungere i pomodori, il basilico, il prezzemolo, il peperoncino e un pizzico di sale e lasciar cuocere. Lasciar cuocere a fuoco lento il sugo mentre si cuoce la pasta in un’altra pentola. Amalgamare il sugo col formaggio (lontano dal fuoco) e aggiungere la pasta al sugo ottenuto, per l’ultima cottura. Come decorazione, basilico e ancora grana.
SCHEDA APPROFONDIMENTO – LO CHEF CIRO DI MAIO
Ciro Di Maio nasce a Frattamaggiore, un comune del Napoletano, nel 1990. Mamma casalinga, papà dal passato burrascoso. Le sue prime esperienze nel lavoro sono a 14 anni, poi si iscrive all’Alberghiero, ma a 18 anni lascia gli studi e inizia a lavorare. Nel 2015, la svolta: trova un lavoro da pizzaiolo per una grossa catena in Lombardia, poi riesce a rilevare quella pizzeria assieme a sei soci, infine diventa titolare unico. È così che è iniziata l’avventura “San Ciro”, il suo locale a Brescia (vicino al multisala Oz, in via Sorbanella) che oggi impiega una quindicina di persone ed è noto per la veracità delle sue pizze, ma anche per il suo menù alla carta di alta cucina. Il nome del locale è un omaggio ai nonni di Ciro, sia dal lato materno che paterno, figure fondamentali nella sua vita.
Suo padre, in particolare, ha dedicato il suo tempo al volontariato e all’aiuto dei giovani tossicodipendenti, collaborando con una comunità per offrire loro una possibilità di uscire dalla droga e ricostruire una vita migliore. Un locale amato perché rappresenta la tradizione napoletana, a partire dagli ingredienti: olio dop, mozzarella di bufala campana dop, pomodorino del Piennolo, ricotta di bufala omogeneizzata e porchetta di Ariccia Igp. Fondamentale è la pasta: ogni giorno viene scelto il livello esatto di idratazione, in base all’umidità di giornata. In menù ha la pizza verace, ma anche il battilocchio, la pizza fatta da un impasto fritto nell’olio bollente e subito servito avvolto in carta paglia. Le pizze sono tutte diverse, sono fatte artigianalmente. Ciro lo ripete spesso.
“Mi piace tirare le orecchie alle pizze, ognuna ha il suo carattere e deve mostrarlo, odio le pizze perfettamente rotonde e se c’è più pomodoro da una parte rispetto ad un’altra è perché usiamo pomodori veri”. Molti i vip che lo amano, le pareti del suo ristorante sono piene di fotografie. Tra le altre anche Eva Henger, che è stata a cucinare pizze una sera da lui. Senza dimenticare i giocatori del Brescia Calcio, che quando possono, anche dopo le partite, lo passano a salutare. Ciro ama le iniziative benefiche. Ciro si è dedicato anche alla formazione nel Rione Sanità di Napoli, un quartiere che gli ricorda la strada in cui è cresciuto, via Rossini a Frattamaggiore. L’istituto che ha accolto il suo progetto è stato l’Istituto alberghiero D’Este Caracciolo, ha portato a termine delle lezioni online a dei ragazzi che seguono l’indirizzo enogastronomico e l’indirizzo sala e accoglienza. Ma non solo. Ciro si considera oggi un privilegiato e ha deciso di offrire ai meno fortunati la possibilità di trovare lavoro.
Infatti, Ciro ha insegnato l’arte della pizza ai detenuti del carcere Canton Mombello di Brescia, grazie a un progetto sviluppato in collaborazione con Luisa Ravagnani, garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Brescia, e sostenuto dalla direttrice del carcere, Francesca Paola Lucrezi. Per alcuni mesi, il pizzaiolo è stato in carcere due volte a settimana, conducendo lezioni teoriche e pratiche sulla preparazione della pizza.
Dall’importanza del sale alla temperatura dei forni, passando per i segreti dell’impasto e del pomodoro. Sette detenuti, accusati di reati minori e quindi destinati a scontare un breve periodo di detenzione, hanno partecipato alle lezioni, quaranta ore di un corso professionale. Adesso l’obiettivo di Ciro è creare una rete di pizzerie che li aiutino, assumendoli. Lui stesso ha fatto lavorare per alcuni periodi alcuni di questi detenuti.
Natale 2023: da Citterio tre idee per la tavola delle feste con protagonista le diverse forme del salame e i suoi originali abbinamenti
Da sempre protagonista delle Feste, il salame è molto amato, oltre che per il suo gusto, perché si presta egregiamente alla condivisione: tagliato a fette e posto su un tagliere o piatto al centro della tavola rappresenta un vero e proprio rito, una gestualità derivante dalla tradizione contadina, secondo la quale i salumi venivano preparati e conservati con cura proprio per essere gustati in compagnia nei giorni più speciali dell’anno.
Sebbene comunemente lo si pensi affettato e servito in purezza semplicemente con del pane fresco, dei taralli o dei grissini, in cucina il salame è un ingrediente molto versatile, infatti grazie alle caratteristiche del suo sapore intenso sprigiona note di umami – il quinto elemento del gusto che corrisponde al sapido e quindi è capace di esaltare tante ricette. Il Salame sa sorprendere quando viene tagliato in forme diverse per ottenere anche differenti consistenze ed abbinato a creme salate, formaggi, frutta fresca e persino risotti regala quel tocco di vivacità e originalità.
Per questo motivo Citterio – storica azienda di salumi con sede a Rho (MI) – in collaborazione con la food blogger Federica Gianelli – in arte Papillamonella – ha realizzato tre gustose ricette, idee perfette per il periodo natalizio. Il protagonista dei piatti è sempre il Citterino, un salame di alta qualità, realizzato ancora con la cura e la passione di una volta e che vanta una storia lunga più di 70 anni.
Le ricette proposte per il Natale 2023 prevedono in primis due antipasti: si parte con dei bicchierini semplici ma chic composti da una crema di patate allo zafferano guarnita con Citterino a cubotti, un’idea perfetta da preparare anche per chi non è abituato a lavorare ai fornelli. Ecco poi il tagliere a forma di ghirlanda, simbolo di condivisione e della gioia di stare insieme, con il salame tagliato a fette spesse accostato a formaggi, frutta fresca e biscotti salati. Il primo piatto invece è un originale risotto con castagne, sedano e Citterino tagliato a ventaglietto, che regala al piatto un tocco elegante e saporito.
“Nelle ricette preparate con il salame Citterino ho voluto rendere omaggio alla sua artigianalità e al suo gusto unico e inimitabile, giocando sia con i sapori sia con le forme – dichiara la food blogger Federica Gianelli -. Per abbinarlo alla crema di patate allo zafferano ho deciso di tagliarlo a cubotti, un formato che ne esalta grana e consistenza e che regala un bel contrasto con la crema vellutata. Nel caso del risotto ecco il taglio a ventaglietto, perfetto per essere gustato insieme agli altri elementi del piatto e per regalare un plus incisivo ma raffinato. Con il tagliere di Natale invece torna la tradizionale fetta, bellissima da vedere con i suoi colori e la perfetta distribuzione delle parti magre e grasse e golosa da abbinare ai crackers salati e alla frutta fresca.”
Il Citterino è un salame realizzato con carni 100% italiane, senza glutine e senza derivati del latte e prodotto con una perfetta ed equilibrata alternanza di parti, magre e non, e con una media macinatura. Il segreto del suo gusto e consistenza sono sia la cura nella scelta delle carni e nel loro impasto omogeneo, sia un processo di lenta stagionatura con l’utilizzo di un budello naturale.
LE RICETTE
ANTIPASTO: CREMA DI PATATE ALLO ZAFFERANO E SALAME CITTERINO A CUBOTTI
INGREDIENTI PER 4 BICCHIERINI
500 g patate a pasta gialla 1 bustina zafferano in polvere 60 ml acqua cottura patate 180 ml latte intero 30 ml olio evo sale e pepe nero 200 g Citterino
Per la tuille: 30 ml di albume 20 g farina tipo zero 3 g colorante alimentare verde in polvere 15 g burro (sciolto a bagnomaria)
Sbucciare le patate, tagliarle a dadini e adagiarle nel cestello per la cottura a vapore. Cuocere per 15 minuti circa o fino a quando si riesce a bucare perfettamente i dadini con uno stuzzicadenti. Nel frattempo preparare la tuille: frullare insieme tutti gli ingredienti, riempire gli appositi stampi in silicone e cuocere a 150° in forno statico per 15 minuti. Una volta cotte, trasferire le patate nel bicchiere del frullatore a immersione. Versare 4 cucchiai di acqua di cottura in una ciotola e sciogliere al suo interno lo zafferano in polvere. Rovesciare il liquido sopra le patate, aggiungere il latte, l’olio, sale e pepe e frullare fino a ottenere una crema liscia e setosa. Tagliare il Citterino a fette spesse e ricavare da ogni fetta tanti quadratini il più possibile delle stesse dimensioni. Dividere la crema nei bicchieri individuali, aggiungere i cubotti di Citterino e decorare con poco pepe nero e la tuille. Buon appetito!
PRIMO: RISOTTO CASTAGNE, SEDANO E SALAME CITTERINO A VENTAGLIETTO
INGREDIENTI PER 4 PERSONE
320 g riso Carnaroli 160 g castagne lessate pelate 4 coste di sedano 1 cipolla bianca piccola 40 g formaggio grattugiato 30 g burro sale e pepe a piacere 40 ml succo di limone 200 g Citterino ribes fresco a piacere
Iniziare preparando il brodo: portare a bollore mezzo litro di acqua con una presa di sale grosso e aggiungere due coste di sedano tagliate a tocchetti e la cipolla divisa in quarti. Cuocere a fuoco basso per 30 minuti, spegnere e lasciare raffreddare, poi filtrare il brodo eliminando le verdure e riportare sul fuoco. Dalle due coste di sedano tenute da parte ricavare tante rondelle che si utilizzeranno per guarnire i piatti e tagliare il resto a cubetti, dopo aver eliminato i filamenti. Tagliare a dadini anche le castagne lessate. Tostare il riso a secco, aggiungere una presa di sale e 2 cucchiai di olio. Bagnare con il brodo bollente e portare il riso a cottura aggiungendo poco brodo per volta. A 5 minuti dal termine aggiungere le castagne e il sedano a tocchetti e mescolare bene. A cottura ultimata spegnere il fuoco, aggiungere il succo di limone, il burro e il formaggio grattugiato. Mescolare brevemente e lasciare riposare 2 minuti con coperchio poi mantecare il risotto mescolando vigorosamente con un cucchiaio di legno. Dividere il riso nei piatti individuali e guarnire con fette di Citterino tagliate a ventaglietto intervallate dalle rondelle di sedano. Guarnire con qualche bacca di ribes e servire questo delizioso risotto di Natale.
GHIRLANDA DI NATALE CON SALAME CITTERINO A FETTE E BISCOTTI SALATI
INGREDIENTI PER 4 PERSONE
1 Citterino 200 g fontina 200 g tomino uva nera e bianca more, ribes, lamponi baby kiwi e alchechengi qualche foglia di alloro
Per i biscotti salati
100 g farina di ceci 120 g farina farro 40 ml olio extravergine di oliva 70 ml acqua frizzante 1 pizzico di bicarbonato 6 g sale q.b. timo essiccato
Per preparare il tagliere di Natale iniziare preparando i biscotti salati: in una ciotola mescolare tutti gli ingredienti e impastare fino a ottenere un panetto liscio ed elastico. Coprire l’impasto con pellicola trasparente e lasciare riposare per 20 minuti circa. Stendere la frolla a uno spessore di circa 3 mm e ricavare i frollini. Si possono cospargere di spezie per regalare loro un colore particolare. Cuocere in forno statico già caldo a180° per 12 minuti circa. Una volta che i biscotti si saranno raffreddati tagliare il Citterino a fette spesse e preparare i formaggi e la frutta che si vorranno utilizzare. Comporre il tagliere nel modo seguente: partire dalle fette di Citterino sovrapponendone 3 o 4 in tre punti del piatto. Proseguire con i formaggi, le foglie di alloro e i biscotti e in ultimo posizionare la frutta cercando di mantenere una forma tonda a mo’ di ghirlanda e distribuendo armonicamente forme e colori. Il colorato e gustoso tagliere di Natale è pronto ad allietare la tavola delle Feste!
Vittorio Sgarbi nominato Primo Ambasciatore dei Locali Storici d’Italia e Guzio si è aggiudicato il primo premio del Concorso Illustra la Storia
Con il tema “un sogno che diventa realtà” Giulio Priano, alias Guzio, si è aggiudicato il primo premio del Concorso Illustra la Storia indetto dall’Associazione Locali Storici d’Italia in collaborazione con lo IED – Istituto Europeo di Design.
Visibilmente emozionato, il vincitore ha ricevuto l’attestato e la borsa di studio dal padrino della manifestazione On. Vittorio Sgarbi, Sottosegretario alla Cultura, che si è soffermato particolarmente sul valore che i Locali Storici d’Italia rappresentano per la Nazione: “Sono particolarmente felice di essere stato nominato Primo Ambasciatore dei Locali storici d’Italia. Sono luoghi legati alla memoria e al piacere, li ho visti forse tutti, fanno parte di un percorso che ognuno di noi noi ha vissuto. Qui la storia passa insieme al tempo del presente ed è giusto che ci sia particolare attenzione da parte del Ministero della Cultura, perché non sono meno importanti dei Musei. I locali storici d’Italia sono parte della musica, della letteratura, della poesia, del teatro, e l’Associazione nazionale con le sue iniziative compie un’azione importante di garanzia e conservazione non solo dei luoghi fisici, ma anche di tutela della memoria. Sono dei veri e propri musei dell’ospitalità, personalmente mi trovo molto bene nei locali storici, sono ragione di memoria felice, meritano tutta la nostra attenzione e la nostra presenza governativa, per tutelarne la persistenza nel tempo e garantirne la continuità.”
All’evento, che si è svolto nella Sala Spiritello del Camparino in Galleria, uno dei locali storici di Milano, che ben rappresenta perfettamente lo stile e le caratteristiche dell’Associazione, hanno partecipato, Enrico Magenes, Presidente dell’Associazione Locali Storici d’Italia, Vanna Chessa, Segretario Generale Associazione Locali Storici d’Italia e Jole Lombardini, Responsabile Progetti Speciali IED Milano.
Nel ringraziare tutti coloro che hanno partecipato al concorso, il Presidente Enrico Magenes si è soffermato sul progetto risultato vincitore: “Voglio complimentarmi con Giulio Priano, perché, a mio modo di vedere, ha saputo cogliere il senso e l’anima di quest’associazione, che porta avanti millenni di Storia, se sommiamo le storie dei singoli locali, ma che vuole guardare al futuro, ad un mondo che cambia molto velocemente, ma che non deve dimenticare le proprie origini e gli eventi che lo hanno portato ad essere come lo vediamo ora. Locali che adeguano le loro offerte ai nuovi modi di consumare, ma che non cambiano la loro anima e non stravolgono la loro struttura, un po’ come il locale nel quale ci troviamo, che ha saputo adattarsi ai tempi di una Milano che viaggia ad una velocità impressionante conservando però la propria identità, i suoi stupendi arredi liberty, il mosaico, il bancone del bar, gli stessi che gli industriali di inizio novecento, i nobili milanesi, le donne e gli uomini di spettacolo hanno visto più di cento anni fa. In questo senso la cartolina che ha vinto il concorso ha saputo fondere questi concetti in maniera esaustiva e moderna, includendo, nei suoi particolari, il vero spirito dei locali storici”.
La cartolina premiata sarà l’immagine ufficiale della prossima giornata nazionale dei locali storici e sarà distribuita in 20.000 copie da collezione in tutta Italia durante la prossima giornata nazionale il 7 ottobre.
Al vincitore, che si aggiudica una borsa di studio per uno dei corsi di Formazione Continua IED, si aggiungono gli attestati di partecipazione al secondo e terzo classificato, Raffaele Primo Capasso e Christian Romano.
Questo primo concorso, dedicato ai giovani, è stato realizzato con l’intento di coinvolgere e sensibilizzare sempre più persone sull’importanza che i locali storici rappresentano per la storia e la cultura italiana. Tutti i partecipanti che si sono cimentati nella realizzazione di una cartolina hanno creato un ponte tra passato e presente, ponendo l’accento sul valore dei locali storici come luoghi dove si conservano la bellezza, la tradizione e la memoria, e questo è il testimone che si intende passare ai giovani, affinché la loro capacità di innovazione e cambiamento sia sempre accompagnata dalla conoscenza, soprattutto in un paese come l’Italia che è la prima potenza culturale del mondo.
L’Associazione dei Locali Storici d’Italia, che ha il Patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, da 47 anni, si prefigge di tutelare e valorizzare il patrimonio nazionale formato da alberghi, ristoranti, osterie, caffetterie, pasticcerie, confetterie di rilevanza storica che hanno contribuito con la loro esistenza alla Storia del nostro Paese. Per farne parte è infatti necessario avere almeno 70 anni di attività certificata, avere conservato, quanto meno parzialmente, gli arredi originali e cimeli dell’epoca ed aver rappresentato per la comunità locale un centro di aggregazione sociale e culturale. Sono più di 200 e sono sparsi per tutta Italia, da Merano a Palermo.
Questi locali nel corso della loro esistenza hanno ospitato importanti personaggi, dalle alte cariche dello Stato, ai reali di tutti il mondo, a uomini e donne appartenenti al mondo dello spettacolo, dell’arte, della cultura, che sicuramente hanno contribuito a scrivere la Storia dell’Italia e dell’Europa. I Locali Storici rappresentano storicamente le fucine nelle quali sono stati creati alcuni dei piatti e prodotti che sono le fondamenta della nostra tradizione culinaria e tra le cui mura vengono tutt’ora proposti.
Dal Gambrinus di Napoli al Florian di Venezia, passando per innumerevoli luoghi simbolo delle città italiane ricche di opere d’arte e di storia, si svolgerà il 7 ottobre la prossima giornata nazionale dei Locali Storici d’Italia, luoghi che hanno un’importanza strategica dal punto di vista turistico/culturale per l’Italia, perché rappresentano una eccezionale forza di attrattiva turistica, soprattutto per il turismo internazionale che è sempre più alla ricerca dell’Italian Way of Living.
“Quello dei locali storici è un patrimonio che non si può perdere e di cui bisogna parlare, e mentre assistiamo all’appiattimento dei nostri centri storici, con negozi e catene commerciali che puoi trovare ormai uguali ovunque da New York a Pechino, nelle nostre strutture che hanno tutte almeno un secolo di storia, si possono vivere esperienze uniche ed irripetibili al di fuori di un contesto di civiltà millenaria come quello italiano”. Sottolinea ancora il Presidente Magenes.
Riapertura. Il Faloria Mountain spa Resort è pronto per la nuova stagione estiva 2023
Faloria Mountain Spa Resort, il place to be per vivere la montagna d’estate. La stagione estiva a Cortina d’Ampezzo riparte al Faloria Mountain Spa Resort, l’hotel ha riaperto le sue porte il 5 giugno per vivere la montagna in uno scenario in cui la natura è protagonista in ogni periodo dell’anno.
Quando si parla di montagna, spesso questa viene associata alla neve, alle piste da scii e al freddo ma in realtà vivere la montagna nel periodo estivo è ormai un’abitudine consolidata. L’estate, infatti, trasforma Cortina d’Ampezzo in un teatro naturale che regala panorami da favola grazie alle magnifiche vette dolomitiche, ma non solo. Il silenzio dell’alta montagna ed il rumore del vento, una pace che fa ritrovare la serenità perduta nei ritmi frenetici della vita mondana e per gli amanti dello sport una palestra naturale grazie a centinaia di chilometri fra sentieri per mountain bike e trekking. E quale luogo migliore per vivere questa atmosfera, se non al Faloria Mountain Spa Resort, che dispone di 52 Camere e Suites di varie tipologie, un ristorante, un bistrot e un lounge-bar, e ben 1000 mq di SPA che includono una piscina semi olimpionica di 25 metri.
La novità di questa stagione interessa il ristorante dell’hotel – accolto all’interno di un padiglione vetrato con una vista mozzafiato sul paesaggio alpino – che è ora sotto la conduzione dello chef Giovanni Gagliardo, originario di Pagani (Salerno), che vanta esperienze presso i ristoranti stellati del Capri Palace, l’Olivo e il Riccio, nonché al Pellicano di Porto Ercole, e che dalla terra dei vulcani è giunto sino alle cime delle Dolomiti. Al centro della sua cucina si trovano gli ingredienti del territorio ed i sapori autentici della montagna, provenienti dai piccoli produttori di Cortina e dintorni selezionati direttamente dallo chef con l’intento di valorizzare realtà più sconosciute ed eco-sostenibili. Una cucina basata sulla qualità delle materie prime e su tecniche di cottura capaci di mantenere l’integrità di sapori. Per assaporare al meglio la cucina dello chef, il Faloria Mountain Spa Resort propone “Dolomites Gourmet Experience”, un’offerta di due notti, con percorso degustazione “Tradizione ampezzana”, massaggio e trattamento viso.
Infine, per concludere l’esperienza in completo relax l’altra novità di questa stagione è l’inaugurazione delle tre nuove “Tofane Suite”, tutte con vista sulle Dolomiti o sul trampolino Olimpionico, 70 mq ideali per famiglie o amici che vogliono sentirsi come a casa anche fuori.
Tutto questo al Faloria Mountain Spa Resort, luogo in cui ritrovare sé stessi e rigenerare corpo ed anima che solo la montagna sa offrire.
Remo Beach Club. Il giardino sul mare a Forte dei Marmi
Ha aperto il 1° giugno a Forte dei Marmi il Remo Beach ClubIl nuovo stabilimento balneare del Grand Hotel Imperiale, concepito come un prezioso giardino sul mare, un piccolo paradiso esclusivo e lussuoso, è il luogo dove vivere la bellezza del mare e il ritmo degli eventi dell’estate fortemarmina.
uno spazio incantevoleIn questo nuovo spazio, incantevole e di grande charme, si accolgono gli ospiti in un’atmosfera glamour ma che porta con sé il fascino retrò dei Bagni di un tempo. Le tradizionali tende a rullo verdi installate sulla spiaggia del Remo Beach Club raccontano la bellissima storia dal sapore antico ed elegante della Versilia, e donano alla spiaggia con il loro movimento segnato dalla brezza marina un fascino unico. Dietro alle grandi tende che raccontano l’estate, in un gioco di raffinati e tenui contrasti di colore, le tradizionali cabine in legno accolgono gli ospiti in uno spazio ampio e dotato di tutti i comfort.
la piscina nel verdeLa piscina circondata dal verde, la meravigliosa e curatissima spiaggia di sabbia finissima, il ristorante e il bar on the beach, gli spazi per il relax e gli incontri, la cura in ogni dettaglio, la capacità di offrire un servizio in grado di soddisfare ogni esigenza, rendono il Remo Beach Club uno spazio magico dove vivere l’estate al Forte. Dalla colazione guardando il mare, al pranzo sulla spiaggia, all’aperitivo al tramonto, agli eventi e alle feste nelle belle ed eccitanti notti d’estate il Remo Beach Club è the place, il posto.
il gusto della cucina mediterraneaIl Ristorante del Remo Beach Club, a disposizione dei clienti e degli ospiti, segue la preziosa linea dell’utilizzo degli ingredienti migliori per proporre una cucina squisita, fresca, composta da sapori sorprendenti che mescolano la tradizione, l’eccellenza e il gusto della cucina mediterranea e lo spazio raffinato dell’innovazione e della giusta sperimentazione, per donare al palato piatti superbi e un’esperienza da ricordare.L’ora dell’aperitivo è tra i momenti più importanti nelle lunghe giornate estive, è il momento per incontrarsi e per conoscersi, per godere del tramonto e inventare le notti. Al Remo Beach Bar è lo spazio magico che accompagna gli ospiti nella degustazione degli aperitivi più inebrianti, dei drink più classici o alla moda, dei cocktail più nuovi e originali che sanno stupire.Tra una tartina e un finger food i cocktail perfetti del Remo Beach Club sono accompagnati anche dalla musica e dall’immancabile aria di festa e allegria che si sprigiona per l’happy hour.
un gioiello nel cuore di Forte dei MarmiAl Remo Beach Club gli ospiti sono coccolati e viziati da uno staff altamente professionale che cura ogni più piccolo dettaglio, dal servizio in spiaggia, in piscina, al ristorante, al bar. Ogni giorno l’arredo della tenda è attrezzato con i teli esclusivi del Bagno; le cabine sono dotate di accappatoi, asciugamani e lavette e cassaforte. Non manca il servizio internet con wi-fi esclusivo. La sicurezza e la privacy degli ospiti sono al primo posto.Il Remo Beach Club è lo spazio ideale per eventi privati, aziendali, cerimonie e feste. Un vero gioiello nel cuore di Forte dei Marmi, facile da raggiungere. Aperto come una grande veranda sul mare, si presta come cornice ideale per momenti indimenticabili.
REMO BEACH CLUB Via Arenile 46 Forte dei Marmi (LU) e-mail: info@remobeachclub.it Tel. 0584 784495
Con il piano “Planet O-Live” Costa d’Oro guarda al futuro sostenibile del settore olivicolo
Costa d’Oro chiama a raccolta gli attori della filiera olivicola italiana in un evento a Milano per far fronte comune alle criticità del settore e raccogliere una doppia sfida: aumentare la produttività e garantire la sostenibilità ambientale, economica e sociale.
Costa d’Oro, azienda olivicola quarta oggi in Italia nella produzione di olio d’oliva, ha presentato a Milano Planet O-live, un grande piano strategico e operativo per la valorizzazione di una filiera dell’olio produttiva e sostenibile. Un nome che evoca un pianeta che ruota intorno al frutto di una pianta millenaria i cui abitanti promuovono uno stile di vita più sostenibile, autentico, trasparente e inclusivo.
L’evento, moderato da Maurizio Pescari, giornalista e scrittore tra i creatori di “Frantoi Aperti”, si è svolto alla Palazzina Appiani, luogo protetto dal FAI di cui Costa d’Oro è sostenitrice e con cui condivide un progetto di recupero del Bosco degli uliveti di San Francesco ad Assisi. Nel corso dell’evento sono stati evidenziati i problemi del settore, come ad esempio la scarsa resa della materia prima causata dalla siccità o la diminuzione delle superfici coltivate a uliveto in Italia, a cui l’azienda olivicola umbra intende fornire delle soluzioni concrete previste nei quattro pilastri del piano Planet O-live.
Ad aprire i lavori Pascal Pinson, CEO di Costa d’Oro: “La mancanza di innovazione e investimenti sono sotto gli occhi di tutti così come le alternanze produttive, la vecchiaia degli impianti e degli oliveti, spesso incolti o abbandonati. Non vogliamo essere spettatori passivi di questa situazione o limitarci a invocare l’aiuto delle istituzioni. Forti del nostro approccio che da sempre punta sull’innovazione, vogliamo proporci come modello virtuoso di un cambiamento che nel settore agricolo non è più procrastinabile. Con Planet O-live mettiamo per la prima volta intorno a un tavolo tutti gli attori della filiera olivicola italiana per fornire all’intero settore soluzioni sostenibili e garantire ai nostri consumatori un prodotto sempre più buono e sano e un ambiente migliore”.
Il piano “PLANET O-LIVE” prevede una serie di azioni concrete, tutte già avviate, che giungeranno complessivamente a compimento nel 2030, data individuata dall’ONU nei Sustainable Development Goals. L’obiettivo è di aumentare la produttività della filieradell’olio da un lato e ridurne l’impatto sull’ambiente dall’altro proponendo un modello virtuoso di riferimento, dalla pianta alla bottiglia. Le quattro aree di intervento previste dal piano, “Agricoltura rispettosa del pianeta”, “Sviluppo delle comunità locali”, “Clima” e “Inclusività&collettività”, sono state illustrate insieme ai partner operativi presenti all’evento. Si va dalla riduzione dei pesticidi, all’utilizzo delle energie rinnovabili; dalla circolarità del ciclo di produzione, all’uso efficiente delle risorse idriche; dal recupero degli uliveti abbandonati e la piantumazione di nuovi ulivi, alla tracciabilità; dagli accordi di filiera con le comunità locali, alla difesa del territorio; dalla promozione dell’occupazione a quella del valore sociale di un’autentica cultura dell’olio.
La difesa del territorio, un’olivicoltura italiana efficiente e produttiva insiemealla promozione del valore sociale di un’autentica cultura dell’olio vanno, dunque, di pari passo con l’incrementodi pratiche di agricoltura sostenibile e di circolarità del ciclo di produzione in un approccio globale di sostenibilità ambientale sociale ed economica.
Ivano Mocetti, presidente di Costa d’Oro, spiega come tutte le azioni previste dal piano siano coordinate dalla Planet O-live Academy, il comitato tecnico-scientifico, presente all’evento, composto dal team di ricerca del Prof. Sebastiani presso il Centro di Ricerca Produzioni Vegetali della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, dal team del Prof. Servili presso il Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali dell’Università di Perugia, da Confagricoltura, da Assoprol (Associazione olivicoltori dell’Umbria) e da un team interno di Costa d’Oro. Mocetti: “La Planet O-live Academy lavora direttamente con Confagricoltura, Assoprol e gli imprenditori agricoli da loro selezionati per applicare le pratiche sostenibili, verificarne la bontà e i risultati in termini di miglioramento della qualità, resa del prodotto e impatti sulla sostenibilità economica, (irrigazione – uso dei pesticidi – pratiche produttive), ambientale e sociale. Inoltre l’Academy ha il compito di mettere a punto il “Manifesto della produzione sostenibile” entro il 2024 per poi divulgarlo, attraverso gli oltre 80.000 produttori che fanno parte del network Confagricoltura, al maggior numero possibile di olivicoltori. Per ora ci siamo dati l’obiettivo che oltre 1 milione di alberi siano gestiti, piantati e/o recuperati in modo sostenibile entro il 2030, ma speriamo e crediamo possano essere molti di più”.
Per spiegare la scelta di aderire all’Academy da parte di Confagricoltura prende la parola Palma Esposito, Direzione Politiche di sviluppo economico delle filiere agroalimentari: “Nel settore olivicolo le aziende associate ci sollecitano costantemente un approccio lungimirante, innovativo e aperto al confronto e il lavoro intrapreso con Costa d’Oro si fonda sulla ricerca di una comune visione su come deve evolvere il settore olivicolo italiano anche in vista degli obiettivi imposti da Bruxelles“.
Assoprol, attraverso l’intervento di Gianfrancesco Petroni, porta all’interno dell’Academy la voce dei produttori: “Il vero vantaggio di far parte della Planet O-live Academy è che i nostri 800 produttori sono al centro del progetto e possono immaginarsi il futuro attraverso nuove sfide. Crediamo di poter svolgere, insieme al mondo scientifico e a Costa d’Oro, un’importante funzione sociale facendo comprendere al consumatore il valore insito nell’intera filiera. Il concetto di economia circolare risponde al desiderio di crescita sostenibile in un panorama produttivo in cui il nostro ambiente, e le risorse che possediamo, sono sotto pressione a causa dei meccanismi di consumo. Non è sempre facile rendere applicativo ciò che scaturisce dalle attività di ricerca, proprio per questo l’organizzazione dei produttori vuole essere lo strumento che mette a terra progetti che si occupano di nutrizione della pianta, gestione dell’acqua, ottimizzazione dell’epoca di raccolta, gestione e valorizzazione delle acque di vegetazione”.
La parola passa ai due accademici che raccontano le ricerche portate avanti. Per il prof. Servili dell’Università di Perugia“La sostenibilità deve essere prima di tutto economica e solo poi diventa sociale. Dobbiamo quindi constatare che il problema di oggi è come valorizzare il sottoprodotto, per non sprecare quasi il 90 percento della materia prima che viene lavorata per ottenere il prodotto finale. L’idea è arrivare a zero scarti, con il cento percento utilizzabile“. Nella Planet O-live Academy il gruppo da lui guidato ha il ruolo di contribuire a riscrivere la catena del valore della trasformazione in frantoio e dare nuova vita a quelli che ad oggi sono “scarti di produzione”, come le acque di vegetazione. “Il nostro progetto –prosegue Servili –prevede il recupero e la parziale purificazione dei composti fenolici bioattivi contenuti nella delle acque di vegetazione in forme utilizzabili industrialmente con possibili applicazioni in ambito alimentare e cosmetico. I prossimi passi prevedono di passare dalla fase lab scale alla fase pilot scale, con frantoiani e partner industriali della cosmetica, farmaceutica e alimentare”.
L’altro gruppo di lavoro dell’Academy, definito di “agricoltura sartoriale”, è coordinato dal Prof. Luca Sebastiani, del Centro di Ricerca di Produzioni Vegetali della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa: “È un progetto che nasce per iniziativa degli operatori del settore olivicolo e coinvolge un campione di aziende che rappresentano l’olivicoltura italiana: dall’oliveto super intensivo a quello recuperato dopo l’abbandono, dalla piccola alla grande azienda. Si lavora su temi concreti per le aziende: irrigazione, fertilizzanti, gestione della raccolta”.
Ma come si distingue una politica concreta di sostenibilità da una mera operazione di “greenwashing”? Lo spiega Filippo Sciacca di Sustenia, che ha affiancato Costa d’Oro nella stesura del piano: “La riduzione degli impatti ambientali è il focus del processo di sviluppo sostenibile, ma deve essere accompagnata da una responsabilità sociale verso gli stakeholder e integrata nei piani di sviluppo economico dell’azienda. Senza analisi, si fa solo greenwashing, in tempi e legislazioni che stanno cambiando. Costa d’Oro, al contrario, ha determinato quali impegni di sviluppo sostenibile si assume verso i propri stakeholder e, con la creazione dell’Academy, ha innescato un percorso di sperimentazione di conoscenze scientifiche e di applicazione di processi virtuosi lungo tutta la filiera, partendo dal campo”.
L’ultimo anello della filiera è rappresentato dallo scaffale che veicola al consumatore prodotti che rappresentano gli impegni dell’azienda e le azioni “per una agricoltura rispettosa del pianeta”. Alessandra Filippi, Marketing Manager Costa d’Oro, sposta l’accento su questo aspetto: “I principali interlocutori del cambiamento che stiamo portando avanti sono la comunità scientifica e i produttori da un lato e la grande distribuzione e il consumatore dall’altro; due mondi che hanno sempre viaggiato a velocità diverse. Per ridurre questo divario occorre accelerare i cambiamenti della filiera facendo in modo che siano gli olivicoltori stessi a condividere con i colleghi quello “che funziona”, e al tempo stesso lavorare con la GDO e i consumatori per spiegare come la sostenibilità vada a impattare la qualità e il valore del prodotto che arriva nelle loro mani. Per questo abbiamo voluto dare subito allo scaffale un prodotto che sintetizzasse il nostro impegno per un’agricoltura sostenibile. Il nostro “ZERO” – il primo olio in Italia certificato Zero Pesticidi Residui – rappresenta un nuovo standard di eccellenza per gli oli extra vergine di oliva, per maggiore sicurezza, qualità, sensibilizzazione a pratiche agricole più rispettose della biodiversità, ad un posizionamento di prezzo assolutamente democratico, tipico dell’identità innovativa e moderna di Costa d’Oro”.
Come si differenzia un olio a Zero Pesticidi Residui da uno biologico lo spiega il prof. Sebastiani: “Un prodotto a Zero Pesticidi Residui prevede una serie di analisi approfondite e certificate che garantiscono la massima sicurezza sulle contaminazioni accidentali che possono provenire banalmente dall’acqua di irrigazione o essere trasportate dal vento. In buona sostanza non è il processo a garantire il prodotto, ma solo l’analisi delle molecole che sono contenute in quel prodotto può garantirne la sicurezza”.
Per il nuovo Costa d’Oro “ZERO” l’azienda ha previsto, infatti, un’ulteriore certificazione, curata da un organismo terzo come SGS Italia, che consente di individuare l’eventuale presenza di oltre 260 tipologie di fitofarmaci. Solo l’olio in cui queste molecole sono al di sotto della soglia di quantificazione analitica di 0,01 mg/kg (cosiddetto Zero Tecnico) ottiene in etichetta il marchio Zero Pesticidi Residui. Ciò significa che i fitofarmaci consentiti dalla legge per proteggere le piante nella fase di coltivazione non sono più presenti nel prodotto finito, per uno standard di eccellenza superiore in termini di qualità e sicurezza. Inoltre, le bottiglie Costa d’Oro “ZERO” sono tracciate su blockchain attraverso il QR code presente in etichetta in un’ottica di totale trasparenza verso il consumatore finale.
Alessandro Bagnasco, Quality Manager Costa d’Oro, aggiunge: “Per noi della qualità è stato un grande lavoro che dà forza a un sistema di controllo qualità già molto forte in azienda. Siamo partiti da un nuovo disciplinare tecnico redatto a quattro mani con SGS, leader mondiale nei servizi di certificazione e verifica, e questo ha portato con sé una serie di procedure e di istruzioni operative che hanno reso possibile garantire, per le oltre 260 molecole di una lista volontaria di fitofarmaci individuata anche insieme alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, lo 0.01 mg/kg massimo residuo per ogni lotto che imbottigliamo. Per questo lavoro continuo e costante ci siamo avvalsi di uno dei laboratori accreditati più qualificati e utilizziamo poi un blend eco-designer, un simulatore informatico elaborato con la nostra R&S che ci consente di creare in maniera preventiva un blend conforme al disciplinare e, al tempo stesso, con un profilo organolettico preciso ed equilibrato.”
A seguire le testimonianze di alcuni imprenditori agricoli che hanno aderito a Planet O-live, come Pierluigi Taccone dalla Calabria, Pasquale Diana dal Lazio e Giovanni Bachetoni, produttore di DOP UMBRIA, che hanno sottolineato come si può sopravvivere solo sperimentando nuove soluzioni con buon senso e approccio innovativo.
L’evento si è concluso con lo show cooking di Chef Daniele Rossi che ha realizzato il piatto “Sottobosco giapponese, viaggio dall’Umbria al Giappone”, una scenografica tartare con olio Costa d’Oro “DOP Umbria” e uno “Spaghettone con asparagi selvatici e ‘nduja” utilizzando olio Costa d’Oro “ZERO”.
I formaggi dop all’ambasciata italiana negli Usa per la Festa della Repubblica. Riconfermato alla carica di Presidente del Consorzio Andrea Barmaz
Riflettori puntati sull’eccellenza dei formaggi Dop italiani all’ambasciata italiana a Washington in occasione della Festa della Repubblica. Giovedì primo giugno, AFIDOP – l’Associazione dei Formaggi Italiani DOP –insieme ai Consorzi di Tutela di Asiago, Fontina, Gorgonzola, Grana Padano, Pecorino Romano, Pecorino Toscano e Piave, è stata ospite di una speciale serata celebrativa con oltre 900 invitati, tra autorità statunitensi, rappresentanti della comunità italiana e italo-americana, comunità diplomatica internazionale a Washington e imprenditori del Belpaese. Durante l’evento saranno promosse la Ryder Cup 2023, che sarà ospitata a Roma e la candidatura della Capitale per Expo 2030.
“Un’occasione imperdibile – ha detto Antonio Auricchio, presidente di AFIDOP – per rafforzare la promozione delle nostre eccellenze lattiero casearie presso un pubblico di alto profilo negli Usa, dove l’Italia detiene il primato mondiale dell’export di formaggi. Un mercato strategico, quello statunitense, che con 55,9 milioni di export nel I bimestre 2023 ha registrato un exploit per i formaggi Dop con un +24% a valore sullo stesso periodo del 2022, superando nettamente il trend del comparto che si attesta a un +17%”.
Complessivamente l’export italiano di formaggi negli States vale 418 milioni euro, di cui quasi l’84% è rappresentato dai formaggi a denominazione di origine protetta. Un mercato in costante espansione quello dei formaggi dop italiani negli Usa, le cui esportazioni, negli ultimi dieci anni, sonocresciute del 22,5% in volume e dell’81% in valore, passando da 193,2 milioni del 2012 a 349,9 euro nel 2022.
Nomina nuove cariche sociali del Consorzio produttori e tutela della dop Fontina
Si comunica che il giorno 30 maggio 2023 si è riunito il Consiglio di Amministrazione del CONSORZIO PRODUTTORI E TUTELA DELLA DOP FONTINA per la nomina delle nuove cariche sociali.
È stato riconfermato alla carica di Presidente Andrea Barmaz che resterà in carica per tre anni. “Ringrazio il CdA per la rinnovata fiducia che mi onora. Il Consiglio ha riconfermato anche la maggior parte dei Consiglieri e ritengo che ciò vada letto anche come un segnale di continuità con il triennio precedente. Saremo più che mai determinati a proseguire nel cammino intrapreso incrementando le attività svolte nel campo della tutela, vigilanza, promozione insieme al continuo miglioramento qualitativo delle produzioni. Il mio obiettivo sarà quello di impegnarci a far crescere la Fontina facendo conoscere a un pubblico sempre più ampio le sue caratteristiche uniche.”
Alla carica di vice Presidente è stato eletto Danilo Grivon.
Si riportano di seguito i componenti del Consiglio di Amministrazione eletti durante l’assemblea del 16-05-2023:
Il gorgonzola è una eccellenza italiana Dop. Tutto quello che c’è da sapere su questo formaggio che ha oltre mille anni d’età
La storia del formaggio Gorgonzola è la storia di un’eccellenza della cucina italiana. Ci sono voluti più di mille anni per raggiungere questo titolo ed è stato un percorso ricco di successi che hanno portato il Gorgonzola ad essere oggi il terzo formaggio DOP italiano a base di latte vaccino per importanza.
C’è chi ne apprezza la versatilità perché può essere utilizzato in un cocktail o addirittura intinto nel cioccolato; i “puristi” che adorano il suo gusto intenso e lo preferiscono assoluto; o, ancora, chi apprezza il fatto che è un alimento completo ad alta digeribilità, adatto anche agli intolleranti al glutine e al lattosio. Nel corso della sua lunga storia il Gorgonzola ha conquistato milioni di appassionati in tutto il mondo. Qual è il suo segreto?
Nato, pare per sbadataggine, intorno all’anno 1000 nella cittadina di Gorgonzola (MI), la storia del “Re degli erborinati” trova oggi radici nell’operosità di oltre 400 maestri casari del territorio di produzione, a cavallo tra Piemonte e Lombardia, che ogni giorno danno vita al Gorgonzola Dop mantenendo viva una straordinaria tradizione casearia italiana fatta di gesti antichi rimasti identici nel tempo.
Il legame che lega questo formaggio dal gusto inconfondibile al suo territorio d’origine è indissolubile. Solo qui può essere prodotto il Gorgonzola Dop, solo con latte intero appena munto proveniente dalla zona d’origine e sempre qui deve essere stagionato e porzionato per la vendita. Se manca soltanto una di queste condizioni, siamo di fronte a un falso!
Dalle 39 aziende consorziate dislocate nelle 15 province di produzione, sono partite nel 2022 più di5milioni di forme dirette in tutto il mondo, per un giro d’affari stimato in circa 800 milioni di euro. Negli ultimi tredici anni il Gorgonzola Dop ha visto aumentare la produzione di quasi ¼ (erano circa 4 milioni le forme prodotte nel 2008).
Oltre un terzo delle forme prodotte vola all’estero soprattutto verso Germania e Francia, Paesi in cui il Gorgonzola Dop è storicamente molto amato come dimostrano testi francesi in cui viene menzionato già nel ‘700. Con il boom delle casere di stagionatura agli inizi del secolo scorso, le esportazioni si intensificarono. Nel 1912 compariva nel menu di prima classe del Titanic, salpato da Southampton, in Inghilterra, alla volta di New York. Anche gli inglesi, infatti, conoscevano e apprezzavano il Gorgonzola che consumavano soprattutto a fine pasto. Durante gli anni ’40, nei fine settimana partiva da Novara un treno merci carico di forme dirette a Londra. Una delle destinazioni? Il ristorante della Camera dei Comuni. Sarà stato probabilmente lì che un giovane Winston Churchill si innamorò dell’erborinato italiano. Pare addirittura che una volta diventato Primo Ministro durante la seconda guerra mondiale, contrassegnò con un cerchietto rosso la zona di Gorgonzola per evitare che i bombardieri distruggessero i caseifici in cui veniva prodotto il suo formaggio preferito!
Nell’ottobre 1955, la denominazione di origine controllata “Gorgonzola” viene ufficialmente riconosciuta in Italia (con D.P.R. 1269). Per vigilare sul suo utilizzo, nonché sulla produzione e sul commercio del prodotto, nel1970 nasce il Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola, ente senza fini di lucroche opera per tutelare produttori e consumatori. Più tardi, nel 1996, il Gorgonzola viene inserito nella lista dei prodotti a Denominazione di Origine Protetta dell’Unione Europea e diventa DOP.
Oggi il Gorgonzola Dop è sulle tavole di tutto il mondo. Gli Stati Uniti sono il primo Paese extra UE per volume di export con 35.354 forme importate (+27,5% nel 2021 rispetto al 2020) collocandosi sopra all’Australia (31.872) e al Giappone (29.671 forme). Particolarmente interessanti gli incrementi a tre cifre registrati nel 2021 in Paesi come Norvegia, Cina, Hong Kong, Singapore, Messico e Repubblica Dominicana.
I NUMERI DEL GORGONZOLA
È il 3° formaggio di latte vaccino nel panorama dei formaggi DOP italiani, dopo i due grana
È il 5° prodotto DOP per importanza nell’intero comparto agroalimentare italiano
5.048.311le forme prodotte nel 2022
800 milioni di euro circa è il volume d’affari del Gorgonzola Dop al consumo oggi.
39 aziende associate e circa 1.800 aziende agricole sono dedicate alla produzione di Gorgonzola nella zona consortile costituita da 15 province, distribuite tra Piemonte e Lombardia
Più di 1/3 della produzioneè destinato all’esportazione verso 91 paesi sovrani
Principali Paesi esportatori: Francia, Germania, Spagna, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Austria, Belgio e Svizzera. Il valore export è di oltre 115 milioni di Euro (Fonte Istat, Dati 2020).
CARATTERISTICHE UNICHE
Il Gorgonzola Dop è un formaggio molle a pasta cruda che appartiene alla famiglia degli “erborinati” (da “erborin”, che in dialetto milanese vuol dire prezzemolo) ovvero quei formaggi che presentano le tipiche striature verdi date, non dall’utilizzo del prezzemolo, bensì dalla formazione di muffe. Queste ultime nulla hanno a che fare con la muffa che si forma naturalmente nei formaggi conservati troppo a lungo, ma sono dovute alle colture di penicilli innestate durante la lavorazione (vedi “Metodo di lavorazione”). Altri “erborinati” famosi nel mondo sono lo Stilton inglese e il Roquefort francese.
Il Gorgonzola Dop piccante si differenzia, oltre che per il gusto forte e deciso più simile al Roquefort o allo Stilton, per le venature blu-verdi piuttosto accentuate e per la pasta più consistente e friabile. Il suo gusto peculiare è dovuto a un periodo di stagionatura maggiore e all’innesto di colture di penicilli differenti. Questa tipologia di gorgonzola rappresenta oggi oltre l’13% della produzione globale.
IN CUCINA
Il Gorgonzola DOP può essere declinato dall’antipasto al dolce ed è una vera ispirazione per ogni chef e per chi vuole sperimentare in cucina. Ogni stagione può essere uno spunto per una nuova creazione in cui il protagonista è Gorgonzola Dop, anche osando abbinamenti insoliti come melone, lumache, avocado e perfino il cioccolato oppure utilizzandolo in ricette dal sapore etnico e fusion come il cous cous o il poke.
Il Gorgonzola Dop si accompagna al meglio con vini con una certa morbidezza e sapidità. Fra i bianchi, Riesling, Pinot Bianco, Orvieto Classico, Frascati Sup., Malvasia secca, Gavi. Fra i rosati Chiaretto del Garda, il Lagrein Kretzer. I vini rossi più indicati sono il Valtellina superiore, Sassella, Dolcetto di ogni provenienza, Chianti Classico, Teroldego, Merlot del Triveneto, Sangiovese di Romagna.
Il Gorgonzola può essere accompagnato anche da una buona birra, meglio se doppio malto. L’Ipa, birra inglese a forte luppolatura e buon tenore alcolico, e le birre trappiste belghe e d’abbazia chiare si abbinano con il Gorgonzola Dop piccante.
FA BENE PERCHE’…
Grazie all’alto contenuto di minerali e vitamine, il Gorgonzola Dop è un alimento completo ad alta digeribilità, naturalmente privo di glutine e lattosio. È appurato che il suo gusto e il suo aroma unico provocano un’attivazione sensoriale che stimola la secrezione di bile e di succo pancreatico favorendo in questo modo la digestione dei grassi e delle proteine.
Secondo una ricerca condotta dal Weizmann Institute di Israele e pubblicata sulla rivista scientifica Cell Metabolism, i formaggi erborinati come il Gorgonzola Dop, insieme a piselli, soia e mais, sono in cima alla lista degli alimenti che potrebbero aiutare a prevenire alcune gravi malattie come il cancro, il morbo d’Alzheimer e quello di Parkinson perché naturalmente ricchi di spermidina (Agi.it).
Un’altra importante ricerca è quella commissionata questa volta direttamente dal Consorzio al Prof. Mario Del Piano, medico gastroenterologo, per appurare il quantitativo di lattosio presente nel Gorgonzola. I risultati della ricerca, che evidenziano come il Gorgonzola Dop sia “naturalmente privo di lattosio” (<0.1 g/100g), vengono confermati da una sperimentazione in collaborazione con il Centro di Ricerca CREA di Lodi (ex – Istituto sperimentale lattiero caseario). Il Gorgonzola può essere, quindi, consumato anche da chi soffre di intolleranze alimentari (circa il 70% della popolazione adulta). Già in passato il professor Del Piano aveva sottolineato come le particolari qualità nutritive del Gorgonzola, che veniva impiegato sin dal Medioevo nella cura dei disturbi gastro-intestinali, fanno sì che ancora oggi venga somministrato agli ammalati inappetenti per malattie croniche e neoplastiche.
”Il Gorgonzolagrazie alla triplice fermentazione cui è sottoposto il latte (lattica, con i lieviti e le muffe) è consigliabile a tutti coloro, che pur avendo l’intolleranza al lattosio, non vogliono rinunciare a mangiare un buon formaggio!”.
Prof. Mario Del Piano
IL TERRITORIO DI PRODUZIONE
La qualità e l’autenticità del Gorgonzola Dop sono assicurate da una severa legislazione che definisce la raccolta del latte, i tempi di stagionatura, gli standard di produzione e di confezionamento. Ma quale latte e di che tipo?
Forse non tutti sanno che solo il latte appena munto proveniente dagli allevamenti bovini delle provincie di Novara, Vercelli, Cuneo, Biella, Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Milano, Monza, Pavia e Varese, Verbano-Cusio-Ossola e il territorio di Casale Monferrato può essere utilizzato per produrre il formaggio Gorgonzola conferendogli la denominazione d’origine protetta.
Ogni forma di Gorgonzola Dop deve essere marchiata all’origine e riportare obbligatoriamente l’indicazione del caseificio in cui è stata prodotta. Perché possa essere venduto come tale, il Gorgonzola Dop deve essere avvolto in fogli di alluminio recanti la del Consorzio senza la quale il formaggio semplicementenon è gorgonzola!
IL METODO DI PRODUZIONE
Ancora oggi il procedimento di produzione del Gorgonzola Dop prevede un forte intervento manuale.
Per ottenere una forma (12 kg ca.) occorre circa un quintale di latte vaccino, intero pastorizzato,a cui si aggiungono fermenti lattici, caglio e spore di penicilli.
A coagulazione avvenuta la cagliata viene sistemata nei fassiroli, o fascere, e viene lasciata riposare per permettere la perdita di siero. Successivamente le forme vengono girate manualmente e marchiate su entrambe le facce con il numero identificativo del caseificio di produzione. Quindi vengono spostate in celle, dette “purgatorio“, con una temperatura di 18/24°C, dove le forme vengono salate.
Dopo 3 settimane circa di stagionatura, in celle frigorifere a 2/7° C, con umidità del 85/99%, ha luogo la foratura con grossi aghi metallici che permette all’aria di entrare nella pasta, sviluppare le colture già innestate nella cagliata e dare così vita alle inconfondibili venature blu-verdi del Gorgonzola.
A stagionatura ultimata, dopo circa 2 mesi, le forme vengono tagliate e ciascuna parte viene avvolta in alluminio riportante l’inconfondibile in rilievo del Consorzio, unica garanzia di qualità. Senza il numero del caseificio d’origine, i marchi del Consorzio e sull’alluminio in rilievo, infatti, il formaggio non è Gorgonzola.
Il Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola nasce nel 1970 a Novara conil preciso scopo di vigilare sulla produzione e sul commercio del Gorgonzola DOP e sull’utilizzo della sua denominazione al fine di tutelare produttori e consumatori. E’ un ente senza fini di lucro che dipende direttamente dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e Turismo e raggruppa 39 soci che rappresentano il 100% della produzione globale. Il Consorzio, promuove tutte le iniziative tese a salvaguardare la tipicità e le caratteristiche del Gorgonzola Dop preservandole da ogni abuso, concorrenza sleale, contraffazione, uso improprio della DOP e comportamenti illeciti. Inoltre, in collaborazione con le Università, gli Istituti di ricerca e gli Istituti Tecnici Lattiero-Caseari, il Consorzio promuove ricerche tecnico-scientifiche.
LE ORIGINI MILLENARIE
La sua data di nascita si fa risalire al Medioevo, intorno all’anno 1007, più di 11 secoli fa.
Inizialmente si chiamava “stracchino di gorgonzola” con riferimento alle vacche “stracche”, ovvero stanche dopo la transumanza dalle zone alpine della Valsassina alla zona pianeggiante di Gorgonzola. Quest’area, grazie alle particolari condizioni climatiche e all’efficiente sistema di irrigazione, presentava pascoli stabili e foraggi di ottima qualità che favorivano la produzione di molto latte, ingrediente primario e indispensabile per produrre formaggio.
Con la canalizzazione delle risorse idriche e la costruzione dei navigli, completati intorno al 1500,nelle aree del Milanese, del Lodigiano e del Pavese, la produzione del Gorgonzola Dop comincia ad estendersi. In questo modo il formaggio poteva essere velocemente trasportato a Milano dove il commercio era più fiorente soprattutto in occasione delle fiere. Inoltre, le grotte naturali della Valsassina erano perfette per la maturazione del Gorgonzola anche nei mesi estivi senza interromperne la produzione.
Col tempo nel nome rimane solo la parola “Gorgonzola” e l’area di produzione si estende alla zona a cavallo tra Lombardia e Piemonte che comprende le provincie di Novara, Vercelli, Cuneo, Biella, Verbano-Cusio-Ossola e il territorio di Casale Monferrato per il Piemonte; Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Milano, Monza, Pavia e Varese per la Lombardia. Solo il latte appena munto degli allevamenti di queste province può oggi essere utilizzato per produrre il gorgonzola conferendogli la Denominazione di Origine Protetta (D.O.P.).
Vera svolta nella produzione del gorgonzola e dei formaggi in generale si ha nel 1860 quando l’allora Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio mette a punto alcuni interventi per migliorare le competenze tecniche degli operatori e, di conseguenza, il livello tecnico-produttivo. Nel caso del Gorgonzola questo significa essenzialmente la stagionatura nelle celle frigorifere.
Oggi come allora il latte di altissima qualità insieme alla sana produzione dei foraggi, all’elevato standard igienico delle stalle nei territori consortili e all’accurato procedimento tuttora manuale, sono la premessa per la realizzazione di un prodotto dell’eccellenza italiana, espressione di una tradizione antichissima fatta di sapori sinceri e genuini. Ecco perché si dice che l’unico segreto del Gorgonzola è quello di non avere segreti!
FORSE NON TUTTI SANNO CHE…
Il Gorgonzola DOP è un formaggio prodotto senza l’impiego di alcun additivo o conservante. Per la produzione viene infatti utilizzato esclusivamente latte di alta qualità senza disinfettanti pesticidi o antibiotici. Se così non fosse non potrebbero riprodursi le tipiche muffe.
Forse a causa del suo aspetto goloso e invitante, molti pensano che il Gorgonzola Dop sia un formaggio particolarmente grasso e calorico, ma risulta che abbia le stesse caratteristiche di molti altri formaggi. Inoltre un etto di Gorgonzola ha la stessa quantità di colesterolo (70 mg) di un etto di carne MAGRA di vitello, di fuso di tacchino, di pollo (senza pelle), di bresaola o di orata o branzino di allevamento.
A cosa è dovuto il caratteristico aroma del Gorgonzola Dop? I fenomeni biochimici che intervengono durante la maturazione del Gorgonzola sono piuttosto complessi. Una varia ed eterogenea flora microbica concorre alla maturazione ed allo sviluppo del caratteristico aroma. I lipidi liberano acidi grassi in quantità diverse che, a loro volta, fungono da substrato per altre trasformazioni enzimatiche liberando composti volatili come i metilchetoni (eptanone e nonanone). In confronto ad altri formaggi, la proteolisi e la lipolisi del Gorgonzola sono particolarmente intense. Questi fenomeni risultano fondamentali nella definizione del profilo aromatico tipico di questo formaggio.
Le più celebri leggende sulla nascita del Gorgonzola Dop sono due, una la fa risalire alla sbadataggine, l’altra all’amore. Nel primo caso si racconta che un mandriano si concesse una sosta in quel di Gorgonzola e, avendo dimenticato l’attrezzatura per lavorare il latte destinato a diventare crescenza o quartirolo, lasciò la cagliata in un recipiente riservandosi di unirla a quella del giorno dopo per poi lavorare il tutto con gli attrezzi recuperati. Tuttavia l’unione delle due “paste” di consistenza diversa provocò il passaggio dell’aria negli interstizi e di conseguenza la diffusione delle muffe. Nacque così il Gorgonzola. Stesso copione nella storia più romantica in cui il protagonista non è un mandriano, bensì un giovane casaro sbadato che, per amore, posticipò la lavorazione al giorno dopo!
Il Gorgonzola ha a un Santo protettore, San Lucio, il cui culto cominciò nell’800 quando i casari offrivano al santo una lira in cambio della sua benevolenza. Al santo è anche dedicato un grande quadro nella Chiesa di San Bernardino alle Ossa a Milano, proprio vicino al grande mercato del Verziere dove il formaggio era tra i generi più contrattati e, tra questi, il Gorgonzola era il Re. Con lo spostamento del mercato il culto scemò restando comunque attivo fino ad oltre il 1960.
La crosta del formaggio è da considerare parte dell’alimento oppure no? Il ruolo della crosta è paragonabile a quello di un contenitore, una sorta di packaging biologico, naturale e tradizionale. In tutte le fasi produttive, fino al termine della maturazione in casera, la crosta entra in contatto con l’ambiente e si può sporcare e/o contaminare. E’ bene quindi eliminarla prima di consumare il formaggio.
Per evitare che l’odore caratteristico venga trasmesso anche agli altri alimenti presenti in frigorifero basta eliminare la crosta ed avvolgere il Gorgonzola in alluminio o tenerlo nella vaschetta salva-sapore.
E’ consigliabile tenere il Gorgonzola a temperatura ambiente per almeno mezz’ora prima di utilizzarlo per esaltare al massimo le sue caratteristiche organolettiche
Il Gorgonzola è un alimento adatto alla dieta dello sportivo. La stagionatura del formaggio induce, infatti, la demolizione delle proteine del latte e la formazione di una ricca gamma di piccoli peptidi ed amminoacidi liberi, facilmente disponibili e assimilabili dall’organismo.
La guerra della barite con i francesi – Nel 1907 il trattamento con la barite (detto anche “intonacatura”) per proteggere il Gorgonzola destinato all’esportazione, fu fortemente contestato dai francesi che interruppero l’importazione dell’erborinato italiano per diversi anni.Il problema era principalmente il peso notevole costituito dalla barite, nonché i risvolti sanitari di questo trattamento. Intervenne allora il Ministero di agricoltura, industria e commercio incaricando una commissione per rispondere alle accuse della Francia. Dagli approfondimenti emerse che la percentuale di baritina utilizzata era effettivamente troppo elevata e auspicò la sostituzione del minerale con materie più idonee. Il Comitato italiano della federazione internazionale di latteria andò oltre e, nel 1909, propose di abolire qualsiasi intonaco sul Gorgonzola sostituendolo con l’alluminio utilizzato ancora oggi.
Le esportazioni di Gorgonzola Dop sono cresciute dell’1,9% nel 2022 per un totale di 25.191 tonnellate, pari a 2.099.250 forme esportate, con un incremento a valore di circa 178 milioni di euro (+16,4% rispetto al 2021).
Degli oltre 5 milioni 48mila forme di Gorgonzola Dop prodotte nel 2022, il 40% circa è stato assorbito dai mercati esteri. L’erborinato italiano ha raggiunto lo scorso anno 87 Paesi in tutto il mondo.
L’Unione Europea ha assorbito gran parte dell’export facendo segnare nel 2022 un incremento del 2,7% pari a 1.811.083 forme.
I due Paesi leader nel mondo per importazioni di Gorgonzola Dop si confermano Francia e Germania che da sole assorbono quasi la metà dell’export, con una novità: con 492.393 forme importate la Francia diventa primo Paese importatore superando, per la prima volta dal 2012, la Germania destinataria di 478.816 forme. E’, però, l’Ungheria il Paese europeo che fa registrare la crescita maggiore con un aumento dell’export del 57,7%.
Fuori dai confini geografici dell’Europa, il Giappone si conferma per il secondo anno consecutivo primo Paese extra-UE con 461 tonnellate di Gorgonzola Dop importate, in crescita del 29,5% rispetto all’anno scorso.
Ottime le performance di Israele, Thailandia, Turchia, Vietnam, Arabia Saudita. Nuovi mercati si sono delineati lo scorso anno in Azerbaijan, Islanda, Somalia, Nigeria e Kosovo.
Anche la produzione 2023 di Gorgonzola Dop parte con il segno positivo. A fine febbraio si attesta su 909.059 forme, con un aumento del 9,65% (pari a 79.989 forme) rispetto all’anno precedente e dell’1,99% (pari a 17.742 forme) rispetto al 2021.
IL CONSORZIO GORGONZOLA PRESENTA I GUSTI DELLA “GENERAZIONE G”
Il formaggio Gorgonzola Dop, terzo formaggio di latte vaccino per importanza nel panorama dei formaggi DOP italiani, sempre più apprezzato anche nel resto del mondo si prepara a sbarcare a Tuttofood 2023 (Fiera Milano da lunedì 8 maggio a giovedì 11 maggio 2023)
Focus dell’attività prevista allo stand consortile (Pad. 4P / Stand N05-P10) sarà il prodotto, con le sue caratteristiche uniche e la promozione presso gli operatori italiani e stranieri del valore della DOP Gorgonzola esportata e amata in 87 Paesi nel mondo.
Antonio Auricchio, Presidente del Consorzio per la Tutela del formaggio Gorgonzola Dop: “Lo scorso anno abbiamo registrato un lieve calo nella produzione e nei consumi soprattutto nazionali, ma il 2023 è partito in controtendenza: A fine marzo erano 1.356.300 le forme prodotte, con un aumento rispetto al 2022 del 7,62%. Ma il nostro prodotto è anche un ambasciatore del Made in Italy nel mondo, infatti nel 2022 i mercati stranieri hanno registrato una crescita sia a volumi (+1,9% sull’anno precedente) che a valore (+16,4% pari a circa 178 milioni di euro) e la tendenza si conferma positiva anche all’inizio di quest’anno. Certo all’estero, più che in Italia, dobbiamo fronteggiare la concorrenza sleale dell’Italian Sounding e sono fermamente convinto che, oltre agli accordi bilaterali, sia fondamentale puntare a far conoscere la qualità altissima del nostro prodotto. Il Gorgonzola non ha eguali e gli appuntamenti internazionali come Tuttofood sono fondamentali per far assaggiare di persona agli operatori stranieri la sua bontà unica”.
Allo stand del Consorzio saranno presenti gli allievi Istituto Professionale di Stato “G. Ravizza” di Novara, che si cimenteranno nella preparazione di un menu inedito pensato per tutte le generazioni (Boomer, Gen Z e Millenials) protagoniste nella nuova campagna di comunicazione 2022-23 che insieme formano la Generazione G, quella che mette tutti d’accordo sotto il segno del Gorgonzola Dop!
“Il nostro spot – prosegue Auricchio – è più moderno e inclusivo rispetto ai precedenti e mette al centro la trasversalità della nostra Dop, capace di unire tutte le generazioni, dai Boomer alla Generazione Alpha, sottolineando così anche la versatilità del Gorgonzola Dop che può essere utilizzato, dall’antipasto al dolce, sia nelle ricette tradizionali, sia durante un aperitivo o in altre occasioni conviviali. I primi dati ci stanno dando ragione e anche le campagne sul web e sui social media, in cui abbiamo collaborato con alcuni noti food influencer italiani e stranieri, seguono questa strada per intercettare un target più giovane”.
Il percorso di promozione del Gorgonzola Dop in Italia e all’estero proseguirà, dopo Tuttofood, con il Summer Fancy Food di New York (25-27 giugno) e Anuga a Colonia (7-11 ottobre) anche in collaborazione con altri Consorzi caseari italiani.
Manduria, la cover band dei Negramaro il 15 aprile all’Hai Bin di Pescara
Appuntamento imperdibileper i fan dei Negramaro: i Manduria Cover Band Negramaro saranno in concerto all’Hai Bin il 15 aprile. Il live avrà inizio alle ore 22.00.
I Manduria riproporranno non solo le grandi hit ma anche chicche della band capitanata da Giuliano Sangiorgi.
I Manduria sono una band tutta pescarese capitanata dal frontman Giovanni Morcelli alla voce. Con lui ci sono Stefano de Caesaris al basso, Carlo De Luca alle tastiere, Lorenzo Chiavaroli alla batteria e Federico Miscia alla chitarra.
Manduria, la cover band dei Negramaro
Legati dalla passione per la musica, i membri dei Manduria si conoscono e suonano insieme da circa 25 anni. Hanno suonato tanto spaziando in vari generi. Una delle loro più importanti esperienze è stata la parentesi “NOCODE tribute Pearl Jam” durata diversi anni che li ha portati ad esibirsi in mezza Italia. Nel 2005 usciva il nuovo singolo dei Negramaro “Estate” e, data la somiglianza incredibile della voce di Giovanni Morcelli a quella di Giuliano Sangiorgi, si pensò di provare il pezzo appena uscito. Il risultato fu subito entusiasmante, tanto da “conservare nel cassetto” il progetto Negramaro cover band.
Finalmente nel 2012 si decide di cambiare rotta per avere nuovi stimoli musicali e finalmente il cassetto viene riaperto dando vita ai ManduriaCover Band Negramaro.
Dopo qualche mese di prove ed aver raggiunto il giusto livello qualitativo, arrivano le prime esibizioni. Il pubblico apprezza il lavoro svolto dalla band cantando i pezzi dei Negramaro nelle due ore circa dei live dei Manduria. Le serate si susseguono numerose e i Manduria suonano anche fuori dalla provincia di origine. Il 2014 è un anno sicuramente fondamentale per far conoscere il progetto. Numerose sono le date invernali per i locali abruzzesi, ma anche nei mesi estivi, con il “COMESENONCIFOSSEUNDOMANI…LiveSummerTour’14”: la band si esibisce nelle piazze di Abruzzo, Molise, Puglia e Basilicata con circa trenta concerti tra giugno e settembre.
Il repertorio prevede l’esecuzione di tutti i successi della band pugliese per oltre due ore di musica e divertimento con scenografie, ospiti, video, luci e intermezzi musicali.
Il 2015 porta la band nuovamente in giro per la penisola con un programma ancora più ricco in quanto ad aprire i concerti è il talento emergente Moreno Marino, in arte “JD”, noto rapper abruzzese, con all’attivo numerose partecipazioni a contest nazionali e produzioni discografiche.
Una delle date più importanti di quel periodo é sicuramente quella presso il noto Music Club Blue Note di Campobasso, un palco importante sul quale hanno suonato nomi noti della musica italiane e musicisti di calibro internazionale.
La band è impegnata nei live da marzo a ottobre nei club e piazze dell’ Emilia Romagna, Marche, Abruzzo, Molise, Puglia e Basilicata.
Così Christian Di Cintio, gestore dell’Hai Bin, presenta questo appuntamento:“Un’altra serata di grande musica: questa volta celebreremo la musica dei Negramaro, una delle band migliori che il panorama pop rock italiano abbia mai espresso. I Manduria propongono due ore di live di alto livello nel quale riescono a riproporre fedelmente le atmosfere di Giuliano Sangiorgi e soci”.
Ingresso con cena 25 € (escluso bevande).Menu “All you can eat”Cucina asiatica e italiana.Info e prenotazioni:328. 9328836 085.4222828
Hai Bin di Pescara vince il “Bocconotto d’Oro” alla trentunesima edizione de “Lu Carrature d’Oro”
Il ristorante di Pescara Hai Bin di Pescara trionfa nella sezione “Bocconotto d’Oro” a Lu Carrature d’Oro, il più antico concorso gastronomico abruzzese quest’anno alla sua trentunesima edizione, organizzato dalla Federazione Italiana Cuochi e l’Associazione Provinciale Cuochi di Pescara e riservato ai cuochi professionisti.
La “Mousse al Confetto di Sulmona” di Hai Bin ha sbaragliato la concorrenza vincendo addirittura due premi: oltre al “Bocconotto d’Oro”,ha infatti ottenuto anche quello per il miglior impiattamento e estetica del piatto.
Il dolce, preparato dal pasticciere dell’Hai Bin Matteo De Sanctis insieme alla sua assistente Pattala Thidarat e alla titolare del ristorante pescarese Yeru, è composto da una mousse con il confetto tritato di Sulmona, un liquore al confetto più una gelatina di lamponi e alla sua base sotto c’è un crumble di mandorle, cioè un biscotto sbriciolato di mandorle.
“Siamo molto felici di aver valorizzato due prodotti tipici abruzzesi come il confetto e il liquore al confetto ed ovviamente c’è molta soddisfazione per aver partecipato e vinto. In collaborazione con il nostro pasticciere Matteo De Sanctis abbiamo creato questo dolce che presto porteremo anche sui tavoli di Hai Bin”.
Hai Bin è stato l’unico a vincere due premi nel concorso.
Punta Tragara della Manfredi Fine Hotels Collection. Nuovo restyling per il sogno caprese di Le Corbusier
Ancora un anno pieno di novità per Punta Tragara. Il 6 aprile ha aperto la nuova stagione dell’hotel emblema di Capri con vista unica sui Faraglioni, e la sua proposta si arricchisce di due nuove gemme grazie all’opera di restyling di Giorgia Dennerlein una delle designer contemporanee più apprezzate.
Il primo intervento si concentra sull’Art Suite che la designer italo-tedesca trasforma in un’estensione del paesaggio circostante, il mare caprese entra idealmente nello spazio attraverso tre arcate, plasma pareti e arredi del proprio colore e movimento, l’acqua diventa un pattern e tutto pare fluttuare, favorire la navigazione verso il massimo comfort. Arte, architettura e design definiscono un universo privato per sofisticati flaneur, un percorso tra sculture, arredi e pareti che attinge a piene mani dalla stagione del Good Design, pensato per un miglioramento della vita attraverso esperienze che unissero estetica, innovazione e funzionalità. L’ambiente è domotico, degno della nautica di ultima generazione, customizzato dallo Studio di progettazione e reso raffinato e flessibile grazie a un concept che abbatte o rende trasparenti le barriere, libera il mobilio da qualunque vincolo rispetto all’impianto architetturale. Il Mediterraneo è il filo che si srotola anche nel progetto di outdoor: un piccolo balcone a tasca è l’accesso obbligato per il terrazzo a tetto dove gli ospiti troveranno una cucina da esterni a loro dedicata dove potranno degustare i menù esclusivi firmati dallo chef stellato Luigi Lionetti.
Il secondo intervento si concentra sulle Superior Rooms nel secondo corpo del lussuoso complesso, un belvedere unico con le camere che guardano piscina e giardino e a cui Giorgia Dennerlein donerà un nuovo sontuoso interior grazie a un complesso lavoro di restyling. L’intervento di design racconta l’esperienza estetica che si potrà vivere in tutte le camere. L’ispirazione nasce dall’osservazione della Hall del Punta Tragara e del suo flair anni ’40 periodo in cui questa icona modernista apriva le porte al Jet Set internazionale e a personaggi come Winston Churchill. In uno spazio di circa 30 mq, l’architetto Dennerlein elabora un piccolo universo vacanziero, massimamente confortevole e funzionale, sfruttando i perimetri: la parete di fronte al letto è un pannello texturato dal fondo neutro su cui vengono come incastonati vari elementi, valorizzati da un palette che dall’oro vira verso tonalità più pastose, uno spazio emozionale che vibra nell’equilibrata contaminazione di epoche.
Nuova vita anche all’outdoor decor, dove l’area lounge accanto al bar e alla piscina è stata riformulata e il pergolato ridisegnato dall’intervento dell’architetto Alessandro Falconio sottolinea anch’esso l’elemento marino che circonda l’hotel con una dominanza di blu, colore del cielo e del mare che si incontrano davanti al Punta Tragara. Nel corpo centrale riapre anche il ristorante stellato le Monzù con i nuovi menù dello Chef Lionetti in una continua celebrazione di territorio, tradizione e creatività, mentre l’altra stella rossa della Manfredi Fine Hotel Collection sull’isola, il Mammà, riapre il 19 aprile con ancora fresca l’eco del restyling operato lo scorso anno.
Non solo un rifugio magico su una punta di roccia, Punta Tragara è un luogo dove rigenerarsi coccolati da arte, design, fine dining e soprattutto dal miracolo della natura dov’è incastonato in bilico sopra i Faraglioni, luogo-immagine ormai inseparabilmente legato all’isola di Capri.
MANFREDI FINE HOTELS COLLECTION
Il Gruppo italiano di proprietà della famiglia Manfredi vanta caratteristiche di particolare esclusività dovute al posizionamento strategico delle singole strutture all’interno di due luoghi simbolo del Bel paese nel mondo, Roma e Capri. Fanno parte della Manfredi Fine Hotels Collection (www.manfredihotels.com) l’HOTEL PALAZZO MANFREDI a Roma, membro di Small Luxury Hotels, con il suo ristorante stellato AROMA situati nel cuore dell’antica Capitale dell’ Impero difronte al Colosseo, PALM SUITES MANFREDI residenze di lusso nel cuore della Città Eterna – L’HOTEL PUNTA TRAGARA, Small Luxury Hotels e il suo ristorante stellato LE MONZU’ locations privilegiate sull’isola di Capri – MAMMA’ una stella Michelin che brilla a due passi dalla celebre Piazzetta di Capri – ed Il CASTIGLIONE prestigiosa dimora privata indicata come luogo dedicato all’ospitalità più esclusiva dell’isola icona del Golfo di Napoli.
Ancona. Crociere Msc in porto dal 14 aprile per tutti i venerdì fino al 3 novembre
Ancona si conferma come porto di approdo per le crociere MSC con la novità, per il 2023, del giorno di arrivo della nave, che sarà il venerdì. Si comincia il 14 aprile con la MSC Armonia, in arrivo da Santorini e diretta a Venezia, che resterà in città dalle 14 alle 21.
Stessa nave, stesso itinerario e stesso periodo di permanenza dei turisti ad Ancona anche per le altre date, trenta in tutto, da aprile a novembre. Gli arrivi avranno cadenza settimanale: 14, 21 e 28 aprile, 5, 12,19 e 26 maggio, 2, 9, 16, 23 e 30 giugno, 7,14,21 e 28 luglio, 4, 11, 18 e 25 agosto, 1, 8 15, 22 e 29 settembre, 6, 13, 20 e 27 ottobre, per chiudere il 3 novembre 2023.
Il Comune ha organizzato un servizio di accoglienza dei crocieristi da parte di guide turistiche che forniranno tutte le informazioni e il materiale necessario per visitare la città. Oltre alla possibilità di utilizzare il sito web “Ancona Tourism” (anche come web app) per avere le informazioni e i percorsi turistici, sarà messa a disposizione una specifica app “Ancona Tourism” (scaricabile per IOS e Android), che accompagnerà i crocieristi e i turisti durante i loro percorsi e nelle visite. L’app consente di visualizzare i percorsi suddivisi per tipologia e di leggere o ascoltare, in italiano e in inglese, le notizie storiche e artistiche di ogni monumento o luogo storico della città.
Inoltre, in collaborazione con Autorità portuale e Regione, sarà istituito un apposito punto informativo turistico nella biglietteria del porto di Ancona, per intercettare i passeggeri in transito per l’imbarco traghetti e fornire consigli e strumenti per visitare e conoscere la città e le sue bellezze.
Ruffino acquisisce 15 ettari nella prestigiosa zona vinicola di Bolgheri. Un grande passo nell’ambiziosa trasformazione che la casa vinicola fiorentina sta compiendo
La casa vitivinicola Ruffino comunica di aver acquisito dei vigneti e dei terreni nella rinomata Bolgheri DOC, con l’intenzione di produrre i principali vini bolgheresi nella nuova Tenuta, che avrà una propria etichetta, e di realizzare prossimamente una cantina dedicata con relativo centro di ospitalità.
L’acquisizione comprende due distinti lotti di terreno per un totale di 15 ettari: 4 sulla via Bolgherese e 11 nell’area “le Sondraie”.
La DOC Bolgheri, sulla costa toscana livornese, con soli 69 produttori, è una delle più importanti aree vinicole al mondo, famosa per la produzione di grandi vini rossi toscani sia da vitigni autoctoni che internazionali.
Questa acquisizione permette a Ruffino di consolidare il proprio presidio nelle zone più prestigiose della Toscana, iniziato da oltre 140 anni, nel segno dei grandi vini rossi Toscani, a partire dal Chianti Classico. La prima vendemmia della nuova Tenuta Ruffino a Bolgheri sarà la 2023, con il proposito di avere i primi vini in commercio nel corso del 2025.
L’arrivo di Ruffino a Bolgheri con dei vigneti di proprietà è un altro passo concreto nell’ambiziosa trasformazione che l’Azienda vinicola toscana sta intraprendendo.
“Siamo in un momento storico per Ruffino. Abbiamo la volontà di crescere ulteriormente fino a diventare un assoluto punto di riferimento dei vini toscani di alto prestigio. Impegno esplicitato nella ricerca della qualità senza compromessi, nell’attenzione alla sostenibilità, ambientale e produttiva, nella capacità di innovarsi nel solco della identità toscana. Attitudini che sono orgoglioso di asserire che ci appartengono da sempre”, commenta il Presidente e Amministratore Delegato di Ruffino Sandro Sartor, che continua: “Questo investimento è una ulteriore risposta al nostro dogma di produrre vini di eccezionale qualità, senza trascurare l’impegno massimo e assoluto nei confronti dell’ambiente che mostra sempre più le sue fragilità”.
Infatti, prendersi cura del territorio e rispettare la sua biodiversità attraverso il ricorso a pratiche sostenibili, sia in vigna che in cantina che in produzione, è altresì essenziale per Ruffino: entro il 2025 non solo tutti i nostri vigneti saranno certificati biologici ma anche tutta la filiera produttiva sarà certificata sostenibile, inclusi i nuovi vigneti di Bolgheri, attualmente in conversione verso il biologico.
“Il nostro obiettivo è di esprimere il terroir di Bolgheri con vini strutturati e setosi, preservando altresì la classica eleganza toscana”, chiosa Maurizio Bogoni, Direttore delle Tenute Ruffino. “Ci sentiamo custodi del territorio e vogliamo rispettare il complesso ecosistema di cui sono, e siamo, parte. Questa acquisizione è un importante progresso nel viaggio di Ruffino verso la sostenibilità e la viticoltura di qualità”.
RUFFINO
Ruffino è stata fondata a Pontassieve, nel cuore della Toscana, nel 1877, dai cugini Ilario e Leopoldo Ruffino, che sognavano di portare il “vino ideale” in tutte le tavole del mondo. Da più di 140 anni, Ruffino è fedele a questo sogno, producendo vini dalle sue tenute toscane situate nelle più importanti denominazioni toscane, da Chianti Classico a Montalcino a Bolgheri, che oggi sono gustati e amati in oltre 90 paesi del mondo.
Dal 2023, Ruffino ha deciso di intraprendere una trasformazione senza precedenti, fino a diventare un assoluto punto di riferimento dei vini toscani di alto prestigio. Impegno esplicitato nella ricerca della qualità senza compromessi, nell’attenzione alla sostenibilità, ambientale e produttiva, nella capacità di innovarsi nel solco della identità toscana e, in generale, nell’espressione di un saper-fare italiano che tutto il mondo ci invidia.
Woodford Reserve Old Fashioned Week: dal 5 al 14 novembre 10 giornate per celebrare il classic cocktail più amato
I locali di tutto il mondo sono pronti a celebrare in grande stile l’Old Fashioned, uno dei cocktail più nobili mai realizzati, nel corso di una settimana davvero speciale: la Woodford Reserve Old Fashioned Week. Da sabato 5 a lunedì 14 novembre, dieci giorni di festa dedicati interamente ad uno dei classici della miscelazione.
Quest’anno per la Woodford Reserve Old Fashioned Week sono stati selezionati 29 official top bar in tutta Italia, da nord a sud – Torino, Milano, Verona, Venezia, Genova, Bologna, Civitanova Marche, Firenze, Roma, Pescara, Napoli, Ischia, Monopoli, Lecce, Palermo – in cui gustare l’Old Fashioned, nella sua versione classica o nei vari twist più audaci proposti dai vari bartender, realizzato con Woodford Reserve. Questi official top bar saranno inoltre inseriti nella piattaforma di localizzazione globale della Woodford Reserve Old Fashioned Week come locali in cui gustare il miglior Old Fashioned e saranno presentati nelle pagine ufficiali Woodford Reserve (sito e IG).
L’Old Fashioned è un cocktail raffinato, sia per il suo colore ambrato che per il gusto deciso e speziato, una proposta che nei suoi oltre 140 anni di vita ha sempre superato ogni tendenza, restando sempre presente nelle preferenze degli amanti di bourbon, per questo merita la giusta celebrazione, come accade in occasione della Old Fashioned Week.
Nata nel 2015 a Parigi da un’idea di Michael Landart del Maria Loca – uno dei più noti cocktail bar di Parigi – e Cyrille Hugon del Rhum Fest Paris, di anno in anno questa “settimana speciale” ha guadagnato sempre più consensi e partecipazione in tutto il mondo. Nel 2020 è diventata ufficialmente la Woodford Reserve Old Fashioned Week, da quando il bourbon liscio del Kentucky si è associato alle celebrazioni di questo classico cocktail senza tempo. Woodford Reserve, infatti, è il bourbon perfetto da scegliere quando si prepara un Old Fashioned, grazie alle sue oltre 200 note aromatiche e al sapore unico dato principalmente dalla qualità delle botti di rovere bianco in cui matura, che lo rendono davvero unico. Tutte queste peculiarità gli hanno permesso, sin dalla sua nascita nel 1838, di conquistare ben 19 medaglie d’oro nei più prestigiosi concorsi al mondo.
Insomma, la Woodford Reserve Old Fashioned Week si preannuncia una settimana davvero da non perdere per tutti gli amanti del buon bere che potranno così condividere insieme la passione per il più classico dei vintage cocktail scoprendone ogni sfumatura.
LA RICETTA
6 cl di Woodford Reserve
1 zolletta di zucchero
3 gocce di Aromatic bitter
2 gocce di Orange bitter
Soda o acqua naturale
1 scorza d’arancia
GLI OFFICIAL TOP BAR DELLA WOODFORD RESERVE OLD FASHIONED WEEK
Moonshiners – Civitanova Marche
BOB – Milano
Nik’s & Co – Milano
The Doping Bar – Milano
House of Ronin – Milano
Rita – Milano
Drink Kong – Roma
ORO Whisky Bar – Roma
Club Derrière – Roma
The Hoxton – Roma
CVLTO – Roma
Dash – Torino
La Drogheria – Torino
Laboratorio Folkroristico – Napoli
Magnolia – Napoli
Dopoteatro – Napoli
Barril – Napoli
Locale – Firenze
Picteau Bistrot & Cocktail Bar – Firenze
Rasputin – Firenze
Il Palazzo Experimental – Venezia
Camera con Vista – Bologna
Gradisca Caffè – Genova
Romeo Bistrot & Cocktail Bar – Verona
Quebracho – Pescara
Laurus – Lecce
Porto 51 – Ischia
Alchemico – Monopoli
I Corrieri – Palermo
ABOUT WOODFORD RESERVE
Nel cuore del Kentucky, a Versailles, vive la storica Woodford Reserve Distillery, luogo di nascita di Woodford Reserve. Punto di riferimento storico per l’intero stato, la Woodford Reserve Distillery è l’emblema di come il lavoro artigianale metta insieme il patrimonio storico con le pratiche moderne. Woodford Reserve fa parte della Brown-Forman Corporation, uno dei principali produttori e distributori di spirit brand di alta qualità, tra cui Jack Daniel’s, Finlandia Vodka, Tequila Herradura e Chambord. Godetevi il vostro bourbon responsabilmente. Per saperne di più su Woodford Reserve, visita www.woodfordreserve.com o www.facebook.com/woodfordreserve.