di Giovanni Filosa
L’operazione che Max Cimatti, con Martin Navello alla chitarra, ha realizzato domenica 16 marzo 2025, nello stracolmo teatro Ferrari di San Marcello è stata, giustamente, solcata da un sospiro pirandelliano.

“Uno, nessuno, cento Dylan”, questo il titolo dello spettacolo, ha colto più che le “maschere” del più grande scrittore e drammaturgo del ‘900, soprattutto gli angoli meno esplorati del maggiore poeta “con e senza musica”, chiamatelo come vi pare ma non menestrello che è riduttivo anche se bello (ci fa rima), che l’orbe terracqueo (mi ricorda…) abbia mai avuto.

Lui, Robert Zimmermann, detto Bob Dylan, diceva che il più grande, il numero 1, era Leonard Cohen. “Io – concludeva – sono il numero 0”. Cimatti ci ha raccontato, raspando e raccogliendo con amore, fra antiche storie che virano verso la leggenda, il giovanissimo Dylan che approda a New York. Chitarra in spalla, va a trovare Woodie Guthrie, il più grande in assoluto nel campo della musica folk. E non solo. “This machine kills fascists”, era scritto sulla sua chitarra.
Srotola capitoli come tappeti che hanno bisogno di sentirsi orizzontali, recita brani, li canta insieme al gruppo “dylaniato” in sala, e vorrei vedere, chi non conosce Blowin’ in the wind, I want you, Mister tambourine man, knockin’ on Heaven’s door?, lo racconta quando a Newport, nel Newport folk festival cambiò, nel 1965, la storia della musica folk e soprattutto della sua chitarra non più folk o acustica, ma elettrica, che inorridì i puristi ma che partorì “Like a Rolling Stone”, la più bella e completa canzone mai scritta. “Un colpo di batteria che sembra uno sparo”, dissero.

Poi seguì la colonna sonora di un mondo che cercava la sua identità al di fuori del sogno americano. Cimatti, con passione e trasporto coinvolgenti, col sottofondo musicale dell’ottimo chitarrista Martin Navello, ha creato due ore di spettacolo in un teatro completamente esaurito e nessuno se ne sarebbe andato mai. Non è solo un tracciato di ricordi, tipo come erano belle le nostre canzoni, macché, Dylan suona e canta ancora oggi, con la sua voce che sembra sempre di più crepitante, peggio della carta vetrata, ma unica.
A me (non vuole essere una critica, c’era troppo materiale da scegliere e si rischiava di fare l’alba), è mancata soltanto la prima versione di Guthrie della sua “The house of the rising sun”, ci siamo dovuti … accontentare di “This land is your land” . Una bellissima serata, Max ha altre cartucce in serbo e le sparerà a breve.