di Lorenza Cappanera*
A che cosa aspirano i pittori del diciassettesimo secolo? Alla luce. E che significato ha questa aspirazione? Molti significati. Luce come fede nelle proprie risorse, come speranza in un futuro migliore, forse come convinzione che il domani sia pieno di gioia.
Nel tempo della Controriforma per Giambattista Salvi, detto il Sassoferrato, come del resto per molti altri artisti, non c’erano grandi spazi per dipingere temi diversi da quelli religiosi e per questo Salvi è stato definito il pittore delle Madonne. Bisogna anche considerare, infatti, che i committenti dell’epoca erano soprattutto persone devote e facoltose che non si risparmiavano nell’offrire alle chiese i loro doni che per lo più consistevano in opere pittoriche. Per questo motivo Salvi emigrò dal natio borgo tra i monti dove scorre il fiume Sentino, verso la capitale della Cristianità.
Giambattista era figlio di un modesto pittore di nome Carpinio ed è nella bottega del padre, a Sassoferrato, che inizia il suo apprendimento artistico. Ma assieme agli insegnamenti paterni, il giovane subisce l’influenza di un altro grande artista suo concittadino, quel Pietro Paolo Agabiti che nelle sue tele fa uno smodato uso del colore, forse condizionato dalla attività della sua famiglia di ceramisti. Da loro aveva probabilmente imparato ad ottenere tonalità cromatiche atte a mettere in risalto i soggetti a cui voleva dare rilevanza.
Sembra impossibile che un piccolo borgo come Sassoferrato, sperduto nell’entroterra marchigiano, sia stato culla di pittori in qualche modo protagonisti nel campo artistico del Cinquecento e del Seicento italiano. E molti altri nomi potrebbero comporre questo elenco, in una regione che pare a volte ignorata e comunque messa in secondo piano rispetto alle altre.
E, se si pensa che questa è la terra che ha dato i natali a Raffaello, la cosa appare ancora più assurda.
Artista timido, solitario e tranquillo, il Sassoferrato a Roma non si dà alla vita mondana, non frequenta l’ambiente degli artisti, ma vive con sua moglie e i suoi sei figli in un quartiere senza pretese. Certamente questo suo stile di vita modesto e riservato non assomiglia alle sue opere che invece si fanno notare per un incantevole cromatismo e l’espressività dei suoi soggetti, fra i quali spicca un autoritratto – il suo – è tutt’altro che banale.
Il soggetto ritratto in quest’ opera, lo stesso Sassoferrato appunto, ci mostra le sembianze di una persona equilibrata, consapevole delle sue capacità artistiche e dalla vita serena. I chiaroscuri del suo viso non rivelano particolari contrasti e in questo può anche essere considerato un pittore fuori dal suo tempo, lontano dalle idiosincrasie tipiche degli artisti dell’epoca.
Un altro bellissimo dipinto è il ritratto al prelato Ottaviano Prati. In questo quadro si nota ancora di più la maestria dell’artista dell’uso del colore, soprattutto dei blu e celesti che realizzava con una particolare mistura di lapislazzuli e dei rossi tendenti al dorato che donavano alla composizione pittorica una particolare eleganza. Quest’opera, tra l’altro, è una delle poche firmate e per questo ancora più preziosa.
Si può davvero definire Giambattista Salvi un grande pittore, un perfezionista che non lascia nulla al caso. E per conoscere meglio l’uomo, oltre che l’artista, varrebbe senz’altro la pena di visitare il paese che gli ha dato i natali e il nome: Sassoferrato.

*Lorenza Cappanera, ama le Marche e le fa conoscere al mondo attraverso le sue case e i suoi scritti. Il suo sito marchecountryhomes.com è conosciuto in tutto il mondo. Il suo blog lemiemarche.it racconta dei tesori e della gente di questa regione.