La maestosa Pala Gozzi (1520), capolavoro assoluto di Tiziano Vecellio
insieme ad altre 5 celebri opere, tutte di carattere religioso e provenienti dalla Pinacoteca Podesti di
Ancona, saranno eccezionalmente esposte, per la prima volta a Roma, in occasione del prossimo
Giubileo, dal 26 novembre nelle sale di Palazzo dei Conservatori ai Musei Capitolini.
6 prestigiosi dipinti – di cui 5 pale d’altare di grandi dimensioni e una piccola ma lussuosa tempera su
tavola – saranno protagonisti di un percorso espositivo che racconta l’importanza della collezione della
Pinacoteca Podesti e, in filigrana, la ricchezza della città dorica committente dei maggiori artisti italiani
fra Cinquecento e Seicento.
Si potranno quindi ammirare la Circoncisione dalla chiesa di San Francesco ad Alto, opera di
Olivuccio Ciccarello, interprete principale del rinnovamento della pittura anconetana che fiorì fra
Trecento e Quattrocento; la preziosa Madonna con Bambino di Carlo Crivelli, icona della collezione
dorica e somma realizzazione del pittore veneto che visse e operò nelle Marche; la Pala dell’Alabarda
di Lorenzo Lotto, per la chiesa di Sant’Agostino, in cui si esplicita l’emozionante talento del pittore
veneziano, esule a più riprese nella regione. Ancora di Tiziano sarà esposta la monumentale
Crocifissione realizzata per la chiesa di San Domenico in cui l’artista esplora la tragedia e la sofferenza
umana. Chiude la rassegna l’imponente Immacolata di Guercino, in cui la delicata figura della Vergine
si staglia su un paesaggio marino il cui modello potrebbe essere la baia di Ancona.
Intrinsecamente legate alla storia di Ancona, le opere in mostra descrivono un percorso di importanti
contaminazioni tra correnti artistiche che hanno reso la città depositaria di assoluti capolavori tra XV e
XVII secolo.
Questo spaccato del meglio della produzione pittorica marchigiana e, in particolare, di quella veneta
nella regione, è accolto eccezionalmente ai Musei Capitolini, nella cui Pinacoteca sono conservate
opere degli stessi autori: Tiziano, Lorenzo Lotto e Guercino. Vi mancano i “primitivi”, Olivuccio di
Ceccarello, importantissimo autore di tardo Trecento attivo ad Ancona anche nei primi decenni del XV
secolo, e Carlo Crivelli. Per quest’ultimo, veneziano di nascita, la città dorica resta una tappa obbligata
per la comprensione del suo percorso artistico nelle Marche. Autore pressoché ignorato nelle fonti
cinque e seicentesche, comincia a essere ricercatissimo anche a Roma dal Settecento.
Con questa mostra si intende avviare un percorso di valorizzazione nazionale della collezione
anconetana, con lo scopo di restituire ai cittadini e ai visitatori lo spaccato di un periodo cruciale della
storia del gusto, del collezionismo e della museologia nella città marchigiana. Un lavoro che proseguirà
con il riallestimento della Pinacoteca Civica Podesti, aperta nel dopoguerra dall’allora soprintendente
Pietro Zampetti, con le opere salvate dai bombardamenti da un altro grande protagonista della storia
della tutela, Pasquale Rotondi, l’eroico direttore del Palazzo Ducale di Urbino a cui si deve la
salvaguardia del patrimonio artistico nazionale negli anni tumultuosi del secondo conflitto mondiale.
La mostra romana, con questa importante esposizione delle pale d’altare della città dorica, oltre a
testimoniare la sacralità e l’importanza che assunse l’arte adriatica del ‘500, anticipa gli eventi culturali
previsti per il prossimo Giubileo.
Promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni
culturali, con il patrocinio di Giubileo 2025 – Dicastero per l’Evangelizzazione, la mostra è
organizzata da Arthemisia in collaborazione con Comune di Ancona, Ancona Cultura, Pinacoteca
Civica di Ancona, Regione Marche e Palazzo Ducale di Urbino – Direzione Regionale Musei
Nazionali Marche ed è curata da Luigi Gallo, Direttore della Galleria Nazionale delle Marche e da
Ilaria Miarelli Mariani, Direttrice della Direzione dei Musei Civici della Sovrintendenza Capitolina.
Servizi museali di Zètema Progetto Cultura.
Luigi Gallo e Ilaria Miarelli Mariani
La temporanea chiusura al pubblico per lavori di ammodernamento della Pinacoteca Podesti di
Ancona rende possibile una mostra pressoché unica nelle sale al pianoterra dei Musei Capitolini, ossia
l’esposizione della monumentale Pala Gozzi di Tiziano. Eseguita per Alvise Gozzi, ricco mercante di Ragusa
trasferitosi nella città marchigiana e collocata sul nuovo altare della chiesa di San Francesco, l’opera, come
molte altre appartenenti agli enti religiosi soppressi, confluisce dopo l’Unità d’Italia nella neonata Pinacoteca
che porta il nome del pittore ottocentesco Francesco Podesti, personalità di spicco della scena artistica tra
Roma e le Marche. Data 1520, la pala mostra sul retro schizzi chiaroscurati che sono stati attribuiti allo
stesso Tiziano e che saranno valorizzati in mostra da un adeguato percorso e illuminazione.
A corollario dell’esposizione dell’importante dipinto, certamente una delle opere d’arte di maggior prestigio
conservata nelle Marche, alcuni capolavori della stessa Pinacoteca che permettono di seguire lo sviluppo e le
contaminazioni dell’arte della regione tra produzione autonoma e influenze venete e del centro Italia. Fra
questi si annoverano la magnifica Circoncisione dalla chiesa di San Francesco in alto, opera di Olivuccio
Ciccarello, interprete principale del rinnovamento della pittura anconetana che fiorì fra Trecento e
Quattrocento; la preziosa Madonna con Bambino di Carlo Crivelli, databile al 1480, icona della collezione
dorica e somma realizzazione del pittore veneto che visse e operò nelle Marche; la Pala dell’Alabarda di
Lorenzo Lotto, databile al 1539 circa per la chiesa di Sant’Agostino, in cui si esplicita l’emozionante talento
del pittore veneziano, esule a più riprese nella regione. Ancora di Tiziano sarà esposta la monumentale
Crocifissione realizzata nel 1558 per la chiesa di San Domenico in cui il cadorino esplora la tragedia e la
sofferenza umana. Chiude la rassegna l’imponente Immacolata di Guercino, realizzata intorno al 1650 in cui
la delicata figura della Vergine si staglia su un paesaggio marino il cui modello potrebbe essere la baia di
Ancona. Le sei straordinarie opere raccontano l’importanza della collezione della Pinacoteca Podesti, e in
filigrana la ricchezza della città dorica committente dei maggiori artisti italiani fra Cinquecento e Seicento.
La mostra romana è un importante tassello di un percorso di valorizzazione nazionale della collezione
anconetana che ha l’intento di restituire ai cittadini e ai visitatori lo spaccato di un periodo cruciale della
storia del gusto e del collezionismo nella città marchigiana. Un lavoro questo che proseguirà con il
riallestimento della Pinacoteca Civica Podesti, aperta nel dopoguerra dall’allora soprintendente Pietro
Zampetti, con le opere salvate dai bombardamenti da un altro grande protagonista della storia della tutela,
Pasquale Rotondi, l’eroico direttore del Palazzo Ducale di Urbino a cui dobbiamo la salvaguardia del
patrimonio artistico nazionale negli anni tumultuosi del secondo conflitto mondiale.
La mostra in collaborazione con i Musei Capitolini, esporrà unicamente opere a soggetto religioso,
inaugurando le tante iniziative artistiche messe in opera dalla città di Roma per il Giubileo e costituirà una
importante occasione di far conoscere al pubblico internazionale e internazionale, in accordo con la Città di
Ancona, capolavori cruciali della storia dell’arte.
Elenco delle opere
- Olivuccio Ciccarello, Circoncisione, tempera su tavola, cm 167 x 76
- Carlo Crivelli, Madonna con Bambino, tempera su tavola, 21 x 15,5 (in vetrina climatizzata)
- Tiziano Vecellio, Pala Gozzi, olio su tavola, cm 320 x 206
- Tiziano, Crocifissione, olio su tela, cm 375 x 197
- Lorenzo Lotto, Pala dell’Alabarda, olio su tela, cm 294 x 216
- Guercino, Immacolata, olio su tela, 225 x 178
LE OPERE
Tiziano Vecellio
Madonna con il Bambino in gloria, i santi Francesco e Biagio e il donatore Luigi Gozzi (Pala
Gozzi), 1520
L’opera non è solo la prima firmata e datata da Tiziano, all’epoca poco più che trentenne, ma anche,
assieme l’eccezionale Assunzione dei Frari, di poco precedente (1516-18), la sua prima pala d’altare
propriamente detta. Essa segna, cioè, l’ingresso del pittore nel ramo più tradizionale e, al tempo
stesso, lucroso e prestigioso della produzione pittorica cinquecentesca.
Il committente della tela, raffigurato inginocchiato in basso in un ritratto di straordinaria verità
naturalistica, è il mercante di Dubrovnik, ma attivo tra Venezia ed Ancona, Luigi Gozzi.
La provenienza geografica di quest’ultimo è dichiarata, assieme a quella del pittore cadorino, nel
cartiglio posto in calce al dipinto. Una doppia esplicitazione di un’origine forestiera che non può che
suonare ironica, ovvero divertita, in un dipinto che mostra al centro, letteralmente, Venezia, identificata
dal profilo del campanile di San Marco e della facciata del Palazzo Ducale, ancora privo della cuspide
aggiunta nel 1514. Il soggetto della pala, dipinta con sferzante realismo, è di agevole lettura. San
Biagio, protettore di Dubrovnik, indica al committente, piamente inginocchiato, l’apparizione della
Vergine con il Bambino sulle nuvole, circondata da un coro di tre angeli (due, infanti e nudi, con
coroncine di fiori, uno, più serio e maturo, vestito di una tunica bianca). Sulla sinistra, un vigoroso San
Francesco, ancora giovane e assai più piacente e in forze di quanto mostrato dall’iconografia
tradizionale, si compiace della visione miracolosa, evocando, al tempo stesso, la chiesa di San
Francesco ad alto ad Ancona a cui il quadro è destinato. Al centro, un ramo di fico, simboleggia tanto il
tema della salvezza cristiana, che un intelligente spunto compositivo per incorniciare la veduta
lagunare sullo sfondo e far spiccare ancora di più la collocazione in controluce dei personaggi in primo
piano.
Il capolavoro di grande potenza espressiva e coloristica, dopo l’Unità d’Italia confluì nella neonata
Pinacoteca anconetana che porta il nome del pittore ottocentesco Francesco Podesti, personalità di
spicco della scena artistica tra Roma e le Marche.
Un’opera unica di estrema rilevanza non solo perché racconta il territorio dell’Adriatico nel periodo
rinascimentale – mettendo in relazione le tre città che vi operavano quali Venezia, Ancona e la croata
Ragusa (l’attuale Dubrovnik) – ma anche perché rappresenta il primo dipinto di Tiziano firmato e datato
a noi noto, come si legge nel cartiglio in basso al centro.
Fuori dai tipici schemi architettonici e prospettici del Quattrocento, la tavola è esempio di quella
“inversione di rotta” adottata da Leonardo e poi da Raffaello e dallo stesso Tiziano coi quali
protagonista è la composizione naturale del soggetto che coglie l’attimo, la vita.
Un percorso studiato appositamente e un’illuminazione ad hoc permetteranno al visitatore di scoprire la
presenza eccezionale sul retro-grezzo della tavola, di vari schizzi a pietra nera raffiguranti un profilo
femminile, la testa di un bambino, che si suppone essere il bozzetto per il Bambino dipinto e altri
appunti, normalmente attribuiti allo stesso Tiziano.
Tiziano Vecellio
Cristo crocefisso, la Vergine e i santi Domenico e Giovanni Evangelista (Crocifissione, Pala
Cornovi della Vecchia), 1558
Nel 1558, trentotto anni dopo la consegna della sua prima grande opera marchigiana, la Pala Gozzi,
destinata alla chiesa di San Francesco ad alto in Ancona, Tiziano torna a eseguire un’opera
monumentale per la città dorica, la Crocifissione o Pala Cornovi della Vecchia.
Il soggetto scelto dal committente Pietro Cornovi, una Crocifissione, porta Tiziano a confrontarsi per la
prima volta con questo tema. Sono anni, per il maestro cadorino, di grande fervore creativo:
contemporaneamente alla pala di Ancona, egli lavora alle ‘poesie’ a tema profano e a due
Seppellimenti di Cristo per il re di Spagna Filippo II, all’Annunciazione per la chiesa di San Domenico
Maggiore a Napoli. Nel dipinto di Ancona, caratterizzato dall’ambientazione notturna, egli porta ad
estrema riflessione due tematiche, una iconografica, l’altra tecnico-stilistica. Innanzitutto, la scena,
concepita lungo l’asse verticale della Croce, è studiata per esaltare al massimo la sofferenza del Cristo
nel registro superiore e, al tempo stesso, il dolore provato dai tre astanti, ciascuno dei quali esprime a
modo proprio (con rassegnata mestizia la Vergine, sconfortato dolore San Domenico, e stupore San
Giovanni) i propri sentimenti. Il punto di vista, estremamente ribassato, priva o quasi la scena di una
collocazione spaziale, portando le figure a stagliarsi eroicamente contro un cielo che occupa la
maggior parte dello sfondo. Quest’ultimo e, in particolare, la resa della luce, sono il secondo punto di
meditazione del cadorino, che sceglie una stesura pittorica assai larga, pastosa, in cui le pennellate
sembrano assorbire sia la tridimensionalità delle forme e gli effetti di rifrazione della luce.
Il violento impatto esercitato dall’opera di Tiziano sull’imaginazione dei contemporanei è attestato dalle
precoci derivazioni trattene in ambito veneto da Jacopo Bassano, nel dipinto eseguito nel 1561-63 per
il convento camaldolese di San Paolo a Treviso (oggi Bassano, Museo Civico), e da Paolo Veronese,
nella pala d’altare della chiesa di San Lazzaro dei Mendicanti a Venezia (1565). In ambito marchigiano,
la potenza dell’invenzione tizianesca, sia in termini di espressione dei sentimenti dei personaggi
(Vasari: “bellissimi”) che in quello più propriamente pittorico (ancora Vasari: “ultima maniera fatta di
macchie”), è precocemente avvertita dall’artista urbinate Federico Barocci, autore, nel 1565 circa, di
una Crocifissione destinata alla chiesa del Crocefisso a Urbino (oggi Urbino, Galleria Nazionale delle
Marche) e commissionatagli dal conte di origini anconetane Pietro Bonarelli. Nella Pala Bonarelli
Barocci, già intriso di suggestioni raffaellesche, michelangiolesche e romane, modifica completamente
il proprio stile per abbracciare quello della pala Cornovi, citata tanto che nella disposizione dei
personaggi, che nei drammatici squarci di luce del cielo e nell’adozione di una pennellata grassa e
materica. Un confronto ancora meglio intuibile se si considera che anche il formato iniziale della pala
tizianesca, oggi rettangolare, era in origine centinato alla parte superiore, prima di una mutilazione
avvenuta nel corso del XVIII secolo.
Nella notte tra il primo e il 2 marzo 1972, il dipinto viene asportato da ignoti dall’altare di San
Domenico. Viene ritrovato il 14 dello stesso mese, in buono stato, grazie alla segnalazione e all’attiva
partecipazione alle operazioni di recupero avviate dalla polizia da parte due giovani anconetani, uno
dei quali è il giovane pittore e futuro protagonista della Transavanguardia italiana Enzo Cucchi.
Olivuccio di Ciccarello
Circoncisione di Gesù Bambino, 1430 – 1439 ca
L’opera eseguita su di una tavola di pioppo, ha un forte sviluppo verticale e non costituisce un dipinto a
sé stante, è la probabile raffigurazione centrale di un trittico del quale non si esclude che gli scomparti
laterali coincidano con le tavole del medesimo autore raffiguranti “I Santi Paolo, Pietro, Giacomo e
Andrea e diciotto angeli” conservate a Cambridge.
L’opera proviene dalla chiesa S. Francesco ad alto, il più antico insediamento francescano di Ancona
trasformato in presidio militare dopo l’Unità d’Italia, su cui tuttavia restano da compiere adeguati
approfondimenti. È annoverata tra le opere che costituiscono il nucleo storico della pinacoteca, istituita
nel 1884, nella quale è sempre stata esposta, fatto salvo un breve periodo intorno al 1930 in cui fu
temporaneamente spostata nella chiesa di S. Maria della Piazza.
L’artista elaborò quest’opera, di gusto pienamente ascrivibile al Gotico fiorito, nel quarto decennio del
Quattrocento e dunque nel pieno della propria maturità espressiva. La narrazione, molto complessa e
ricca di elementi decorativi, si svolge in un edificio religioso del quale sono rappresentati al contempo
l’esterno e l’interno. Quest’ultimo è a pianta longitudinale suddivisa in tre navate, sorrette da volte a
crociera, a loro volta attraversate da un transetto che si può identificare nella spazialità affollata da
numerose colonnine e variegati capitelli. La scena della Circoncisione si staglia solennemente
all’interno dell’arcata principale che inquadra gli astanti e soprattutto il Bambino. Oltre alla presenza dei
sacerdoti, si scorge in tralice San Giuseppe, connotato dall’aura, che osserva in religioso silenzio
l’azione. Questi prende parte anche al momento successivo, che si inserisce all’imbocco della navata
destra, nel quale Gesù appena circonciso è riconsegnata in braccio ad una confidente figura femminile,
di certo non identificabile con la Vergine perché senza nimbo. La stessa donna è ravvisabile all’inizio
della narrazione, quando sulla sinistra è in atto di consegnare ad un astante il Bambino. La
composizione è particolarmente fiammeggiante di cornici, pinnacoli, mensoloni e statue, mentre l’altare
su cui è compiuta la circoncisione, sorretto da esili colonnine tortili, sembra osservare un gusto più
arcaico, allo stesso modo delle presunte tavole laterali data la rigidità dei volumi delle sagome e dei
panneggi.
La Circoncisione trova un’adeguata valorizzazione nella Pinacoteca in una sala completamente
dedicata all’autore accanto ad altre tre opere capitali, nell’ambito di un percorso espositivo cronologico
che ha inizio proprio dal basso Medioevo.
Carlo Crivelli
Madonna col Bambino, 1480
La Madonna col Bambino è un piccolo gioiello dell’arte prodotto da Carlo Crivelli nel corso di una lunga
permanenza in terra marchigiana, dopo aver lasciato la città d’origine, Venezia, e Zara.
In un discreto torno di tempo, misurabile dall’esordio in terra marchigiana con il polittico di Massa
Fermana del 1468, fino alla morte nel 1495, nel Quattrocento Crivelli divenne protagonista di una lunga
stagione artistica a buon diritto definibile “crivellesca”, caratterizzata da una visione aggiornata della
forma pur facendo ricorso ad una sintassi tardo medievale nonché al larghissimo impiego di ornati. La
preziosa tavoletta proviene dalla chiesa di S. Francesco ad alto, il più significativo insediamento
francescano in città, nella quale è stata rinvenuta in modo fortuito all’interno di un armadio di sacrestia.
La Madonna, rappresentata a mezza figura, indossa un manto dipinto con vere foglie d’oro e decorato
con perle e rubini, in atto di sporgersi oltre una balaustra lapidea su cui si trova la firma dell’artista e sta
appoggiato un libriccino, che aperto e spaginato rappresenta una citazione puntuale di quello del Beato
Gabriele. Il Bambino è teneramente tenuto in grembo. Un drappo, illusoriamente appeso alla cornice,
isola le due figure centrali, facendo intravedere ai lati due brani di paesaggio in cui si innalzano torri
simili a minareti. Il dipinto è ricco di dettagli e simboli cristiani, come il cardellino tenuto da un filo dal
Bambino che ricorda la Passione, la noce aperta poggiata sulla mano destra che è un’allegoria
dell’incarnazione del figlio nel ventre di Maria, le mele del festone che alludono al peccato originale e il
cetriolo riferibile alla Resurrezione.
Il retro-originale della tavola è dipinto in finto porfido.
Giovan Francesco Guerrieri, detto Guercino
Immacolata Concezione, 1656
La grande pala dell’Immacolata fu commissionata al Guercino per la sua residenza in Ancona dal
nobile Carlo Antonio Camerata, appartenente a una nobile famiglia di origine bergamasche, che già
dalla prima metà del XVII secolo era stata aggregata alla nobiltà dorica.
Facente parte di un’importante donazione che Luigi Rocchi Camerata fece al Comune di Ancona nel
1906, l’opera del Guercino si presenta nella sua bellezza al di fuori del tempo, molto alleggerita dei
simboli che ne hanno caratterizzato l’iconografia tridentina, dei quali resta la mezzaluna calpestata sul
nimbo. Si tratta di un’immagine realistica e al contempo simbolica, che si inscrive in un momento
storico che ha superato le indicazioni della Controriforma e che risponde a necessità prettamente
devozionali. Conforme alla tradizione classica è invece la figura del Creatore, calvo, barbuto, illuminato
da sinistra, perfettamente tratta dall’Apocalisse di Giovanni. La falce di luna sotto i piedi della Vergine
ne rinsalda la flessuosa postura, sottolineata dal capo reclinato verso destra, quasi a descrivere una
curva che nell’insieme sottrae la composizione alla staticità del santino devozionale. Alla luce netta dei
soggetti rappresentati si contrappone la luce modulata sul paesaggio, invenzione felicissima che è
anche un omaggio alla città di Ancona attraverso la raffigurazione del mare. In questo dipinto torna il
leitmotiv della torre, elemento architettonico ricorrente nel fraseggio dell’artista, che forse è un retaggio,
una memoria del proprio vissuto.
L’esplicito riferimento all’iconografia spagnola è ascrivibile al contatto tra Guercino e Velazquez che si
recò a Cento nel 1629, nell’ambito di un primo viaggio di studio in Italia sulle ricerche più avanzate
d’Europa. Comprendere quali motivi avessero determinato il desiderio del giovane pittore del Re di
Spagna di rendere visita al Guercino nella sua bottega, raggiungendolo nella sua città, consente di
capire la portata dell’artista nello scenario dell’arte europea.
Lorenzo Lotto
La Vergine con il Bambino incoronata da angeli e i santi Stefano, Giovanni Evangelista, Simone
Zelota e Lorenzo (Sacra conversazione, Pala dell’Alabarda), 1539 circa
Capolavoro della maturità di Lorenzo Lotto, il dipinto viene commissionato il 1° agosto 1538 nella
chiesa di Sant’Agostino di Ancona da Simone di Giovannino Pizoni, cittadino anconetano. Quest’ultimo
è in rapporti di parentela con Giovanni Maria Pizoni, protonotario apostolico del centro dorico per il
quale, nello stesso anno, Lotto esegue un intenso ritratto (collezione Koelliker), commissionato il 1°
novembre 1538 e rifiutato dal cliente a causa del prezzo troppo elevato.
Il contratto per il dipinto di sant’Agostino, destinato all’altare laterale di patronato della famiglia Pizoni,
ne definisce nei dettagli l’iconografia, che dovrà includere un san Simone Zelota e un san Giovanni
Evangelista, omaggio al nome del committente e di suo padre, e i santi Stefano e Lorenzo, molto
venerati nella città di Ancona.
La tela principale è completata da una cimasa, una perduta predella raffigurante il Corteo di
sant’Orsola e le undicimila vergini, e due stemmi della famiglia Pizoni, per la somma complessiva
corrisposta al pittore di 80 scudi. Gli insistiti riferimenti alla violenza fisica (il martirio delle undicimila
vergini, il gesto stanco con cui san Simone si appoggia all’enorme alabarda capovolta, possibile
simbolo di cessata ostilità) sono stati ricollegati dalla critica ai maltrattamenti e soprusi affrontati
nell’autunno del 1532, con la conquista militare della città operata da papa Clemente VII e del suo
crudele emissario, il cardinale Benedetto Accolti. Se così fosse, l’opera andrebbe interpretata in quel
clima di rivalsa dell’orgoglio civico che, negli stessi anni, porta il ricco proprietario terriero Angelo
Ferretti ad affidare ad artisti di grido come Antonio da Sangallo e Pellegrino Tibaldi l’edificazione di un
nuovo, grande palazzo, “per dar speranza, e far bon animo alli suoi [concittadini] Anconitani” (Baroni
2024, pp. 22-23).
La pala fa parte di un gruppo di dipinti eseguiti da Lotto durante il suo secondo soggiorno nelle Marche,
negli anni 1534-1539. Dopo l’esecuzione, l’opera attraversa complesse vicende patrimoniali e
conservative, sciolte solo in anni recenti nella restituzione del suo assetto originale. Vista da Vasari, nel
1568, nella chiesa di Sant’Agostino (“una tavola posta a mezzo davanti all’altare maggiore”), rimane in
questa sede fino alla metà del Settecento. In seguito al rifacimento della chiesa, operato da Luigi
Vanvitelli tra il 1750 e il 1764, viene incamerata tra i beni della nobile famiglia Ferretti del ramo di san
Domenico, nel cui palazzo la vede il poligrafo Marcello Oretti nel 1777. Dal 1884 passa nell’appena
fondata Pinacoteca Comunale di Ancona, allestita nella chiesa di San Domenico. I restauri operati in
occasione della mostra veneziana su Lotto del 1953 permettono di recuperare le misure corrette del
dipinto, allungato nel registro superiore e ristretto sui lati; nel 2005, il ritrovamento della predella,
raffigurante lo Spirito Santo e una gloria d’angeli, permette di ricostituire l’unità visiva dell’opera.
Le dichiarazioni
Sindaco di Ancona Daniele Silvetti
La città di Ancona con questa mostra vuole dare un tributo, in occasione dell’anno giubilare, con il suo patrimonio artistico, ed è grazie ad una combinazione fortunata che possiamo esportare le nostre opere, dato che sono in corso lavori di restauro nella sede storica che le ospita. Un’opportunità per noi di grande prestigio, che dà lustro alla Capitale come alla Città di Ancona. Ringrazio il Sindaco di Roma, con il quale non mancheranno altre occasioni per approfondire temi culturali e di comune interesse.
Assessore alla Cultura del Comune di Ancona, Annamaria Bertini
Quando è nata questa proposta del direttore scientifico della Benincasa e dalla direttrice della Pinacoteca di Roma non potevamo non accoglierla. Non soltanto perché la Pinacoteca era chiusa al pubblico per i lavori PNRR, ma perché era una occasione forse unica di portare nella prima Pinacoteca del mondo le opere più importanti del territorio. Inoltre l’operazione si andava a conciliare con la politica dell’assessorato, quella di mettere in rete le strutture regionali con quelle nazionali- Queste sinergie non fanno che favorire i prestiti e alimentare il tessuto culturale, promuovendo la conoscenza di opere di grande valore non a tutti accessibili. A Roma molte persone potranno ammirare i capolavori di Ancona e, in futuro, saremo noi a potere esporre un’opera di Lorenzo Lotto prestata da questo Museo. L’allestimento è straordinario, valorizza perfettamente la Pala Gozzi, ma anche la Madonna del Crivelli e le altre pale. È una contaminazione perfettamente riuscita e desidero ringraziare tutti coloro che l’hanno resa possibile.
Direttrice Direzione Musei civici della Sovrintendenza Capitolina, curatrice della mostra, Ilaria Miarelli Mariani
Sono dei capolavori assoluti quelli che ospitiamo da oggi in questo museo, il primo museo pubblico al mondo. La Pala Gozzi non è molto conosciuta dai romani, che resteranno assolutamente colpiti, così come tutti i visitatori durante il Giubileo. La cultura che ha generato Tiziano (che si è ispirato per la sua visione ad una Madonna di Raffaello collocata nella chiesa dell’Ara Coeli) torna in Campidoglio. Quello che vogliamo mettere in mostra è la contaminazione di linguaggi che corrono lungo il versante Adriatico, che da Venezia vanno ad Ancona, da Ancona a Dubrovnik, che da Ancona vanno a Roma. E vorrei ricordare un altro grande legame, quello del pittore Francesco Podesti – un artista ottocentesco di enorme spessore – che ha donato le sue collezioni, un artista che nasce ad Ancona e vive e opera nella capitale. Il legame tra Ancona e Roma, dopo l’annessione, è forte: oltre che nei commerci, nei secoli ha veicolato uno straordinario patrimonio artistico.
Luigi Gallo, Direttore Galleria Nazionale delle Marche, direttore scientifico della Pinacoteca Podesti e curatore della mostra
Possiamo definire la mostra ai musei Capitolini il primo evento artistico delle celebrazioni del Giubileo che a breve avrà inizio. Un evento che incrocia due esigenze: offrire al pubblico una esposizione di arte sacra di altissimo livello e veicolare le opere della Pinacoteca dorica nei mesi in cui resta chiusa, in un programma di valorizzazione nazionale. É una raccolta di dipinti da fare conoscere ad un pubblico più ampio possibile, dipinti che raccontano tanto del collezionismo, della committenza delle grandi famiglie di Ancona per le chiese di Ancona. Sono onorato che la proposta sia stata accolta. Questa mostra può essere anche una opportunità per ragionare su cosa potrà essere la Pinacoteca in futuro, dopo che, a maggior ragione, la centralità della pittura delle collezioni anconetane nel Rinascimento con questa iniziativa è stata sancita.
Espressione di apprezzamento per l’iniziativa giubilare che lega Roma ad Ancona è stata espressa dall’assessore alla Cultura di Roma Capitale, Massimiliano Smeriglio, dal Sovrintendente capitolino, Claudio Parisi Presicce e dalla presidente di Arthemisia, Iole Siena, nonché dal delegato del Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, Davide Mambriani che ha concluso l’anteprima stampa ricordando il valore di una operazione che “ha saputo accogliere tanta bellezza rinchiusa”, seppure per motivi di forza maggiore.