di Stefano Fabrizi
Si esce dal teatro un po’ frastornati, chi pensava di trovare la Drusilla di Eleganzissima vista due anni fa allo Sferisterio di Macerata, sarà rimasto interdetto: Venere nemica è un pièce teatrale di grande spessore drammatico, ma che riesce a mantenere le caratteristiche della Foer che tutti conosciamo, in sintesi un bellissimo lavoro che ha meritato i lunghi applausi a fine recita dello strapieno teatro Rossini di Pesaro (in replica il 28 e 29 settembre 2024).
Il lavoro scritto a quattro mani da Drusilla Foer e Giancarlo Marinelli (con la regia Dimitri Milopulos e la direzione artistica di Franco Godi) è ispirato alla favola di Apuleio “Amore e Psiche”: Venere nemica rilegge il mito in modo divertente e commovente a un tempo, in bilico tra tragedia e commedia, declinando i grandi temi del Classico nella contemporaneità. L’estro artistico di Drusilla Foer, personaggio dalle mille sfaccettature, si rivela più che mai in questa sua nuova produzione.
Sul palco insieme a Drusilla-Venere, la bravissima Elena Talenti nel doppio ruolo di cameriera della dea della bellezza e Psiche, la rivale. La commedia mette in rilevanza diversi temi dell’essere connotandoli bene per aprire a più riflessioni. Al centro della vicenda spunta l’Amore, declinato e sofferto in più diramazioni. La Venere di Drusilla Foer, personaggio d’impatto, talentuosa e irriverentemente ironica, è impegnata a confrontarsi con una Psiche di altrettanta bellezza. Sprezzante verso gli umani che lei chiama “mortali” li deride per le loro debolezze.
Venere, la dea immortale, quindi tuttora esistente, vive lontano dall’Olimpo e dai suoi odiati parenti. Dopo aver girovagato per secoli, abita attualmente a Parigi fra i mortali. Non essendo gli Dei più creduti, la dea della bellezza e dell’amore finalmente può permettersi di vivere nell’imperfezione dell’umano esistere. Una Venere stravagante, straripante, aristocratica e sopra le righe: la sua Venere nemica è una divinità crudele e capricciosa, dotata di quella altera superbia che è propria degli dei, eppure così vicina ai mortali nelle sue debolezze, nella sua solitudine, nel suo bisogno di amore.
Lo spettacolo, che dura quasi 90 minuti, è strutturato su più livelli, in cui si passa da flussi di coscienza e monologhi a dialoghi frizzanti: una regia minimale e una scenografia essenziale permettono di mettere ancora più in risalto l’eleganza e la recitazione delle due protagoniste, che hanno dato grande prova sul palco, divertendo il pubblico persino con un balletto finale che emula il duetto di charleston di Roxie e Welma nel musical Chicago. Cantando e ballando, recitando ammiccando e ironicamente, la Venere di Drusilla indirizza lo spettacolo verso una sintesi di vari generi tra musical, prosa, cabaret, tutto tra piccole grandi dosi.
E al termine di cose sulle quali riflettere non mancano, grazie a una grande prova recitativa di Gianluca Gori (alias Drusilla Foer-Venere) sempre più convincente nelle vesti del mattatore.
Nel camerino un rapido saluto a Gianluca e Franco ricordando il primo incontro nel 2021 al Festival di Sanremo e poi le diverse volte nelle Marche. Grande attore, ma anche una bella persona, indubbiamente.