Quest’anno la Giornata mondiale dei fiumi (domenica 22 settembre), istituita nel 2005 per sensibilizzare l’opinione pubblica e incoraggiare una migliore gestione dei corsi d’acqua in tutto il mondo, si preannuncia nel peggiore dei modi. Dopo le alluvioni che hanno devastato mezza Europa, dalla Romania, alla Repubblica Ceca, alla Polonia, all’Austria e alla Slovacchia, allagando città e campagne e provocando purtroppo decine di morti, è la volta dell’Italia. Le conseguenze del ciclone Boris si sono abbattute su Emilia Romagna e Marche, provocando ad oggi 1.500 sfollati, due dispersi, crolli e black out in tutta la Romagna. Altre piogge e nubifragi sono previsti anche in altre regioni. Si sono verificati rovesci diffusi in Lazio, Campania, Abruzzo, Molise, Puglia. In Emilia Romagna alcuni fiumi, come il Lamone, sono gli stessi che avevano creato problemi anche lo scorso anno e ancora in precedenza. L’Emilia Romagna è un caso eclatante del fallimento della pianificazione e prevenzione del dissesto idrogeologico: nonostante la Regione abbia approvato nel 2017 una legge sulla tutela e l’uso del suolo, che intendeva ridurre il consumo a zero entro il 2050, il consumo di suolo in questi ultimi anni è continuato ad aumentare, posizionando l’Emilia-Romagna al terzo posto per suolo consumato e al primo posto per occupazione di aree a rischio idrogeologico, come emerso dall’ultimo rapporto di ISPRA sul consumo di suolo. Quasi il 9% del territorio dell’Emilia Romagna è impermeabilizzato, un valore altissimo considerando che la media nazionale è del 7%. Un valore ancora più alto per un territorio fragile dove quasi la metà della regione ricade in aree a pericolosità idraulica media.L’’approccio con interventi per stati di emergenza realizzati negli ultimi decenni, senza una programmazione, artificializzando ancora di più gli alvei dei fiumi con rettificazioni, argini, prelievo di inerti e taglio della vegetazione hanno palesemente dimostrato la loro inefficacia. Si è ripetuto quanto successo nel 2023. E’ più che mai evidente ed urgente la necessità di cambiare le modalità di gestione dei fiumi, come richiesto dall’Unione Europea con la Strategia per la Biodiversità e la legge per il Ripristino degli Habitat, con una seria programmazione per comprensorio di bacino idrografico, rinaturalizzando gli alvei fluviali, individuando aree di espansione naturale, applicando le Soluzioni Basate sulla Natura (NBS) e se necessario delocalizzare le infrastrutture con un maggior beneficio per la sicurezza, qualità ambientale ed efficacia ed efficienza nell’impiego delle risorse economiche. Nonostante gli allarmi degli scienziati per le conseguenze dei cambiamenti climatici e le denunce sulla fragilità e vulnerabilità del nostro territorio, non vi sono significative azioni in “controtendenza” che si allineano alle politiche europee per la gestione e tutela delle acque e soprattutto per il ripristino degli ecosistemi fluviali. ITALIA TRA FIUMI ARTIFICIALI E RINATURAZIONE In Italia sono presenti almeno 11.000 barriere, tra dighe, briglie e traverse (numero fortemente in difetto) e molte di queste barriere sono obsolete, non servono nemmeno più allo scopo per cui sono state costruite e dovrebbero essere rimosse. Purtroppo, nonostante questa situazione e mentre la Strategia Europea per la biodiversità prevede di riconnettere e riqualificare, anche attraverso la rimozioni di barriere (briglie, dighe, traverse…), almeno 25.000 km di fiumi in Europa entro il 2030, in Italia si continua ad artificializzare i fiumi, a progettare e realizzare dighe (come quelle proposte: diga di Vetto in Emilia Romagna e diga del Vanoi in Veneto), e traverse che ne interrompono la continuità ecologica e morfologica, a occupare le aree di loro pertinenza, indispensabili per ridurre gli effetti delle piene e, in definitiva, ad aumentare la vulnerabilità del territorio. A riguardo, Il WWF Italia ha agito concretamente partecipando al bando europeo della Fondazione Open River Programme per la rimozione delle barriere obsolete nei fiumi ed ha realizzato uno studio propedeutico alla rimozione di alcune barriere sul fiume Trebbia (PC) dimostrando l’opportunità alla loro rimozione e la necessità di garantire una gestione unitaria del bacino, oggi assente. Inoltre ed è in corso la valutazione un altro progetto presentato per il fiume Esino (AN). La recente Restoration law europea ci obbliga a redigere un piano di ripristino ambientale dove i fiumi dovranno ricoprire un ruolo fondamentale e che dovrebbe integrarsi con gli obiettivi del Piano di Adattamento ai Cambiamenti Climatici che, dopo l’approvazione del dicembre dello scorso anno, è fermo senza finanziamenti e nel disinteresse collettivo. Ormai i cambiamenti climatici sono in atto e dovremmo concentrarci per avviare concrete politiche per il recupero della resilienza del territorio soprattutto attraverso Nature Based Solutions, le soluzioni basate sulla natura.Il Progetto di rinaturazione del Po, proposto da WWF e ANEPLA, inserito nel PNRR per 357 milioni di euro e che prevede 56 interventi nel bacino padano coinvolgendo Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, procede a rilento, ostaggio dei pioppicoltori che hanno ottenuto lo stralcio di parte delle aree fluviali che sarebbero dovute essere rinaturalizzate. Purtroppo quello che doveva essere il più importante progetto di rinaturazione e adattamento ai cambiamenti climatici si trascina con una gestione inadeguata e incapace di gestirne la complessità. Siamo ancora in tempo per “imparare” da questa prima lezione e da quanto si sta facendo in Europa lungo Emsher, Reno, Danubio , Drava e molti altri fiumi. Il WWF, con il report “RIVER2RESTORE”, dimostra come i fiumi ripristinati rafforzino la nostra resilienza ai cambiamenti climatici e chiede un impegno a tutti i Paesi europei per la rinaturazione dei fiumi. Ripristinare la forma naturale, gli habitat, il flusso e il funzionamento del sistema fluviale, comprese le pianure alluvionali, eliminando le barriere e creando più spazio per la natura, consentono una moltitudine di benefici. Il ripristino di importanti servizi ecosistemici è urgente e necessario per mitigare le conseguenze degli impatti del cambiamento climatico. Il WWF propone un programma europeo di rinaturalizzazione partendo da: Morava in Austria, Mura- Drava in Croazia, Palokinkosket in Finlandia, Ammer in Germania, Kalentzis in Grecia, Dienvidsusēja in Lettonia, Geul in Olanda, Vascao inPortogallo, Delta del Danubio in Romania, Bela’ in Slovacchia, Guadalquivir in Spagna e Adige in Italia. L’Adige, che con i suoi 410 chilometri è il secondo fiume più lungo d’Italia: è estremamente sovrasfruttato ed è attualmente più simile a un canale che a un ecosistema fluviale. Il WWF ritiene fondamentale una diffusa azione di rinaturazione che intervenga a de-artificializzare oltre 38 km di canalizzazione per consentire il recupero di aree naturali di esondazione del fiume, la rimozione di una diga (a Parcines) e di 43 sbarramenti minori, per ripristinare la connettività ecologica lungo un tratto di 114 chilometri; un’azione, che sembra utopica ma che porterebbe beneficio anche alla costa adriatica in deficit di sedimenti proprio a causa degli sbarramenti dei fiumi che sfociano in questo tratto di mare. La costa veneta tra l’altro è una delle aree più minacciate dai cambiamenti climatici come recentemente evidenziato da uno studio internazionale .La proposta del WWF Italia segue quella in corso di realizzazione nel Po e dovrebbe unirsi ad altre, da inserire nel piano di ripristino ambientale da redigere a breve, per garantire un adeguato contributo italiano alla riconnessione di 25.000 km di fiumi in Europa. |
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