di Fabio Brisighelli*
Quest’estate, nell’Arena maceratese andranno in scena una nuova produzione di Carmen di Georges Bizet (20, 23 e 28 luglio, 6 agosto) firmata da Daniele Menghini e con il direttore musicale del festival Donato Renzetti sul podio, La traviata di Giuseppe Verdi (22 e 30 luglio, 5 e 13 agosto) nello storico allestimento di Josef Svoboda con la regia di Henning Brockhaus e la bacchetta di Domenico Longo, una nuova produzione di Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti (12, 14, 17 e 19 agosto) affidata a Jean-Louis Grinda con Francesco Ivan Ciampa sul podio.
Carmen, Violetta, Lucia: tre eroine del melodramma tornano sul palcoscenico dello Sferisterio di Macerata per raccontare ancora una volta la loro vicenda umana e sentimentale, per dispensare emozioni intense d’ascolto.
Diverse le loro storie, identico per tutte il finale drammatico.
Carmen, la bella sigaraia sivigliana, possiede il carattere e la forza propulsiva di un “demone” della musica, con cui si identifica. Lei che incarna un’esistenza elementare e primaria, che la propria libertà assoluta difende al pari di un credo morale, e in nome della quale coscientemente soccombe. Il suo dramma ha il ritmo ardente gaio febbrile palpitante di una seducente ballata tragica, che ha la cadenza imposta di una folgorante corrida di morte. E sempre alla musica, insinuante e sottilmente perversa, è affidata l’opera di affilata seduzione che la protagonista attua su Don José per vincolarlo indissolubilmente al suo destino. Una musica di una corrente elettrica ad alto potenziale ritmico e strumentale, un campo magnetico di note di fascinosa e palpitante suggestione, un vettore adrenalinico che non ti lascia tregua, nella sua bruciante espressività.
Violetta, un sentimento più forte del moralismo borghese. Per lei, per la protagonista de La traviata, è normale prendere le mosse dall’ennesimo riferimento al fiasco della ‘prima’ veneziana (il 6 marzo 1853 al Teatro La Fenice) – che poi altro non fu che un semplice e momentaneo aggio del dissenso sull’assenso, in pratica una sconfitta ai punti – non tanto per aggiungere subito dopo che il successo, poi imperituro, arrise all’opera a partire dall’anno seguente (il 6 maggio) nella stessa città lagunare, nel Teatro San Benedetto; quanto per cogliere dal primo, difficile impatto del componimento in questione col pubblico quegli elementi innovativi inseriti da Verdi che lo determinarono, e che rimandano in primis alla scelta di un soggetto drammatico atipico perché contemporaneo all’autore, per di più in odore di eresia sul piano etico-morale, portando agli onori del palcoscenico i casi “sconvenienti” di una cortigiana di lusso. Ma se le vicende in musica della “dame aux camélias” non possedevano al primo giudizio a caldo dei musicofili veneziani il necessario “pathos della distanza”, per usare un’espressione di Nietzsche, vale a dire quella maggiore carica di coinvolgimento emozionale regolarmente conferita da storie lontane nel tempo; se l’assurgere di un’etèra a eroina di una trama musicale poteva suscitare al momento la reazione negativa del perbenismo ufficiale, la capacità verdiana di scolpire teatralmente e musicalmente con Violetta una figura femminile a tutto tondo, di imprimere in lei “immorale” secondo il giudizio della società la forza “morale” del sentimento profondo, dell’amore pieno e disinteressato portato fino al supremo sacrificio di sé non poteva non disciogliere come neve al sole ogni iniziale “distinguo”.
Lucia è immersa in uno scenario di reiterati notturni del sentimento, il cui solo sprazzo di luce corrisponde in definitiva al momento della “promessa” dei due amanti, di lei e di Edgardo; che sfocia gradatamente nella scena della pazzia della protagonista con la sua “metafisica” del canto vocalizzato, che trae linfa dalla bellezza della melodia, da una vocalità limpida e fluente, appassionata e intensa.
Se poi all’emozione della musica e del canto trasmessa nel corso dell’opera dalla sfortunata coppia, “nata sotto cattiva stella” -per dirla con Shakespeare-, si aggiungono la natura, muta per lo più se non ostile, profondamente innervata nel dramma, e l’ambiente, le torri scoscese e le tombe che presagiscono l’esito doloroso della vicenda, si può comprendere come tutto concorra al fascino dell’opera, o meglio a quella Stimmung, a quell’atmosfera romantica patetica e toccante che da sempre ne decreta il successo. La Lucia di Donizetti, musicista di spessore “europeo”, ha potuto finanche sedurre indimenticabili eroine letterarie: Emma Bovary come Anna Karenina, che nei rispettivi romanzi, assistendo a una rappresentazione di essa, provano il brivido indistinto di una fine tragica.
Tra pochi giorni, allo Sferisterio, Carmen, Violetta e Lucia racconteranno ancora una volta al pubblico le loro vicende di amore e di morte.
*critico musicale
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