








TeatrOltre il più grande palcoscenico italiano per le più importanti esperienze dei linguaggi contemporanei promosso all’insegna della multidisciplinarietà dall’AMAT con i Comuni di Pesaro, Fano / Fondazione Teatro della Fortuna, Urbino, Cagli / Istituzione Teatro Comunale di Cagli, Pergola, San Costanzo, San Lorenzo in Campo, Urbania e con il contributo di Regione Marche e MiC, torna per la diciottesima edizione dal 12 marzo con un calendario di 25 appuntamenti fino a giugno.
L’inaugurazione il 12 marzo è al Teatro Tiberini di San Lorenzo in Campo con uno straordinario Tindaro Granata che in Antropolaroid. Il decennale racconta di figure familiari, di generazioni, di una terra, la Sicilia. Pesaro rinnova la sua vocazione di luogo di residenza creativa con il Cantiere aperto per “Cloud” di Gianfrancesco Giannini, un percorso di flussi digitali, immagini e video in cui il performer accompagna il pubblico, il 18 marzo alla Chiesa dell’Annunziata, in un viaggio nel proprio archivio dati, nella propria memoria individuale. Giancane, noto anche per aver composto la sua prima colonna sonora, per la serie Netflix Strappare lungo i bordi del fumettista romano Zerocalcare che ha appassionato milioni di spettatori, torna sul palco con Tutto Giusto Tour e giunge al Teatro Sperimentale di Pesaro il 19 marzo.
Sempre al Teatro Sperimentale di Pesaro, Città Creativa Unesco per la Musica, il 25 marzo è la volta di Cristina Donà con deSidera Tour, artista di grande talento che ha contribuito a definire una nuova stagione del rock di matrice mediterranea. La comicità surreale di Flavia Mastrella e Antonio Rezza irrompe in scena il 29 marzo al Teatro Bramante di Urbania con Io, un intramontabile, geniale spettacolo dei due artisti, Leoni d’oro alla carriera per il Teatro alla Biennale di Venezia 2018. Palazzi D’Oriente, produttore e compositore, membro fondatore di 72-HOUR POST FIGHT e 2004Sgrang, è atteso il primo aprile alla Chiesa dell’Annunziata di Pesaro, in collaborazione con Black Marmalade Records, in un cinematico susseguirsi di suggestioni elettroniche. Ancora un atteso appuntamento musicale il 2 aprile al Teatro della Concordia di San Costanzo con Roberto Angelini e Rodrigo D’Erasmo in un omaggio a Nick Drake con Songs in a conversation, progetto che nasce dal desiderio di testimoniare la grande passione per l’intramontabile musicista, per tramandare e far conoscere ai giovani musicisti la sua eredità artistica e poetica, ricca di fragilità, lirismo e sensibilità, dando un tocco contemporaneo e moderno per restituire la magia e il carattere onirico delle versioni originali. Una favola barocca di solitudine e vecchiaia per celebrare la memoria dei defunti e la pienezza della vita attraverso l’ombra delle loro esistenze passate.
Dopo il debutto assoluto al Teatro Grande di Pompei e la partecipazione al Festival di Avignone la scorsa estate, l’affermata autrice e regista siciliana Emma Dante approda al Teatro della Fortuna di Fano il 7 aprile con Pupo di zucchero (La festa dei morti), sua ultima creazione liberamente tratta da Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile. Chitarra, basso e batteria sostenuti da una voce graffiante per un “Fuckin’Rock” puro, asciutto e una vocazione naturalmente internazionale, i Mutonia sono in concerto il 9 aprile al Teatro Angel dal Foco di Pergola, dopo aver infiammato palco e tavolo di XFactor 2021 gareggiando nella squadra di Manuel Agnelli che con Rodrigo D’Erasmo ha prodotto l’ultimo loro singolo Rebel. Varietà tragico su sogni e disillusioni della classe media del nostro Paese, Teoria della classe disagiata di Sonia Antinori da Raffaele Alberto Ventura con Giacomo Lilliù e Matteo Principi giunge il 14 aprile al Teatro Tiberini di San Lorenzo in Campo. Discobunker, pièce teatrale di dirompente attualità, pluripremiata scritta e diretta da Marianna Bianchetti e Stefano Mereu (produzione Centripeta) racconta il 24 aprile al Teatro della Concordia di San Costanzo la storia di un essere umano che da solo in un bunker sopravvive affidandosi ai propri impulsi, in un mondo apocalittico distrutto dalle forze della natura che hanno preso il sopravvento. Il 28 aprile al Teatro Sanzio di Urbino è atteso Roberto Mercadini, narratore, autore-attore, scrittore, poeta e divulgatore, con La più strana delle meraviglie. Monologo da e su Shakespeare, un racconto sul teatro del grande drammaturgo e poeta inglese. Una generazione di artisti rende vivace lo scenario dei giovani autori e produttori di musica indipendenti: Glocal sound/giovane musica d’autore in circuito – iniziativa promossa a livello nazionale dall’AMAT con, tra gli altri, Fondazione Piemonte dal Vivo e altri circuiti regionali – fa tappa il 30 aprile alla Chiesa dell’Annunziata di Pesaro con il lavoro di R.Y.F. che offre una incursione nella musica elettronica e Ladyhalo, risultato delle influenze musicali differenti delle due artiste pesaresi Laura Vasari e Alice Belli. Questo è il tempo in cui attendo la grazia, al Teatro Sperimentale di Pesaro il 2 maggio, è una biografia onirica e poetica di Pasolini con Gabriele Portoghese, regia di Fabio Condemi, attraverso le sue sceneggiature.
Pastorale di Daniele Ninarello, il 6 maggio al Teatro Comunale di Cagli, è un’opera che pone il corpo al centro del sapere coreografico per riflettere sull’incontro con l’altro come occasione per la costruzione di nuove geografie. Musicista di formazione jazzistica, Marta Del Grandi è attesa in concerto il 7 maggio alla Chiesa dell’Annunziata di Pesaro in trio con Federica Furlani alla viola ed elettronica e Gaya Misrachi alla voce e synth. È un immaginario atipico quello della giovane artista, al suo debutto solista con Until We Fossilize, uscito per l’etichetta britannica Fire Records, un lavoro di avant-pop che vede coesistere stilemi folk-rock, atmosfere lynchiane e arrangiamenti che richiamano le colonne sonore di Morricone. Spazio alla danza con Monjour il 19 maggio al Teatro della Fortuna di Fano, un dispositivo performativo che mette al centro una riflessione sul potere e sul gioco di manipolazione tra performer e spettatore, un “cartoon contemporaneo” fatto di corpi in carne ed ossa guidati dall’ironia di Silvia Gribaudi con la complicità visiva di Matteo Maffesanti, i disegni di Francesca Ghermandi e i funambolici performer, 2 danzatori, 1 clown/attore e 2 acrobati. Il 28 maggio con Pesaro Danza Focus una festa della danza esplode in città. Si inizia alle ore 18.30 alla Chiesa dell’Annunziata con Walter di Laura Gazzani, in cui i due corpi di Nicolò Giorgini e Francesca Rinaldi danzano insieme per ricreare l’incanto, immersi nello stesso spazio e nello stesso tempo, uniti dall’1-2-3, come in una corte aristocratica o in una ballroom popolare, intrighi, amori e incontri nutrono lo spazio. Si prosegue al Teatro Sperimentale alle ore 20.30 con Memento di Nyko Piscopo, una pièce di danza che si fonda sul non-evento, come nel capolavoro beckettiano Aspettando Godot dove la tensione è creata dal susseguirsi di speranze che non trovano uno sfogo concreto, nella quale i performer vivono l’attesa cercando conforto l’uno dall’altro. Pesaro Danza Focus volge al termine alle ore 22 alla Chiesa della Maddalena con All’inizio della città di Roma della Compagnia Mòra, coreografia che mima fatti, conseguenze, giudizi e patti che originano alcuni moti dell’agire umano di Claudia Castellucci, cofondatrice con Romeo Castellucci e con Chiara e Paolo Guidi della Socìetas Raffaello Sanzio (oggi Societas) e Leone d’Argento alla Biennale di Venezia Danza 2020.
Motus, uno dei gruppi più amati e seguiti a livello internazionale diretto da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, torna a Pesaro con Tutto brucia, il 29 maggio al Teatro Sperimentale. Tutto Brucia – con Silvia Calderoni, Stefania Tansini e R.Y.F.(Francesca Morello) alle canzoni e musiche live – è una vigorosa riscrittura delle Troiane di Euripide attraverso le parole di J.P. Sartre, Judith Butler, Ernesto De Martino, Edoardo Viveiros de Castro, NoViolet Bulawayo, Donna Haraway. Reduci dalla recente pubblicazione di Sweep It Into Space i giganti dell’indie rock americano Dinosaur Jr arrivano in Italia in formazione originale, con J Mascis alla chitarra e voce, Lou Barlow al basso e voce, Murph alla batteria e TeatrOltre li attende a Pesaro, in Piazza del Popolo, il 7 giugno. TeatrOltre volge al termine il 10 giugno con Pandoradel Teatro dei Gordi, il 10 giugno al Teatro Sperimentale di Pesaro. Guidata dal regista Riccardo Pippa, la compagnia continua l’indagine su una forma teatrale che si affida al gesto, ai corpi, a una parola-suono scarna ed essenziale che supera le barriere linguistiche in uno straordinario equilibrio tra comicità e tragedia, ironia e sofferenza, poesia e disagio esistenziale.

All’epoca non avrei mai immaginato che Antropolaroid sarebbe stato un “cuntu” che mi avrebbe fatto incontrare gli spettatori e le spettatrici di tutte le regioni d’Italia. Sapevo, però, che sarebbe stato un “racconto”, un “cuntu” dicevano i miei bisnonni, che mi avrebbe accompagnato per sempre, così come loro erano stati accompagnati dalle quelle storie che mi avevano raccontato nelle sere della mia infanzia. Il “cuntu” è il racconto di tante storie, spesso vere e quasi sempre romanzate, un codice etico che veniva tramandato oralmente, raccontando storie di
persone comuni, nelle quali tutti potevano rispecchiarsi e potevano imparare a conoscere l’animo umano.
Il segreto dei segreti dei vecchi contadini è: il presente arriva al futuro solo se passa dal passato. Antropolaroid è uno spettacolo popolare, che affronta vari temi dei “cunti” antichi: il senso della giustizia, della solidarietà, la lotta per l’amore, la lotta per la libertà. In questi dieci anni, grazie ad Antropolaroid, ho incontrato tantissima gente, tantissime persone, tantissimi amici, e ognuno mi ha donato un sorriso, uno sguardo di intesa, una lacrima, un pensiero e la promessa di un appuntamento, che poi, abbiamo entrambi mantenuto.
Queste repliche del decennale di Antropolaroid portano tutta la consapevolezza, la maturità di un ex giovane, quale io sono, che col proprio “cuntu” vuole dare speranza a tutti quelli che verranno a vedere lo spettacolo; per questa bella ricorrenza e per generare fortuna a chi è più giovane di me, come uno speciale passaggio di consegne, prima del mio spettacolo verrà presentato un “Antropolaroid” di un giovanissimo artista del luogo, che racconterà le sue storie, le storie della sua gente, le storie della sua terra, di quella terra in cui ci troveremo in quella sera di festa. Che sia il Teatro, quest’arte sacrificata in tempi bui, il luogo santo per passare esperienza e accendere speranza”. Grazie per averci accolto. Tindaro
Sinossi
Francesco Granata nel settembre del 1925 si impicca perché scopre di avere un tumore incurabile. La moglie, incinta, sola, si reca spesso al cimitero per “bestemmiare” sulla tomba del marito. Il figlio Tindaro Granata nel 1948 viene implicato in un omicidio di mafia, ordinato da un noto mafioso di Patti. Maria casella, nel ’44, si innamora di Tindaro che incontra ad una serata di ballo organizzata da suo padre per presentargli il suo futuro sposo, un ufficiale tedesco. La giovane si oppone al matrimonio, scappa con Tindaro, facendo la “fuitina”. Teodoro Granata nasce l’anno dopo. Diventato adulto, Teodoro emigra in Svizzera. Tornato in Sicilia sposa Antonietta Lembo e con l’aiuto del signor Badalamenti apre una falegnameria. Tindaro Granata nasce nel settembre del 1978. Adulto, parte per il servizio militare, si imbarca per due anni su nave Spica e qui incontra il nipote del boss del suo paese di origine, Patti. Il giovane Tino (nipote del boss) , dopo che il padre viene indagato per delitti di mafia, si confida con Tindaro. Ma questo è il giorno in cui Tindaro parte per Roma, vuole diventare un attore. Tino si suicida, impiccandosi.

Un computer con la connessione internet ci collega all’iperuranio del tempo presente. La nuvola accessibile a tutti che ingloba i dati, le immagini e i pensieri. Lo strumento dell’iper connessione senza barriere e senza distanze. Cloud è l’idea di ricreare questo spazio e condividerlo con coloro che decidono di abitare questo luogo intimo insieme al performer. Lungo un percorso fatto di flussi digitali, immagini e video, il performer accompagna il pubblico in un viaggio nel proprio archivio dati, nella propria memoria individuale. Lo spazio scenico si apre al reale, connettendosi a geografie remote in un autentico affresco mediatico che incorpora e tenta di restituire tutte le informazioni: il corpo diviene testimone e medium dei contenuti che il database condivide seguendo flussi di movimento che si cristallizzano in immagini, dando vita ad un archivio coreografico personale. Un corpo che perlustra, ma anche un corpo che tenta di “rifigurare” e testimoniare il mondo visibile.
Cloud è una riflessione sulla politica delle immagini, sulla rappresentazione mediatica dei corpi e della violenza su essi, e sulla memoria come archivio di dati, reali e virtuali, in movimento. Il lavoro nasce anche grazie ad un dialogo intrapreso con 8ballcommunity e NERO editions in una giornata di dibattiti e condivisioni incentrate
sulla tematica queer ed è ispirato al manifesto del comunismo queer e alle riflessioni di Georgy Mamedov e Oksana Shatalova, attivisti radicali del Kyrgyzstan.
Cloud è tra i progetti finalisti di DNAppunti coreografici 2019 Romaeuropa. Il primo studio del lavoro è stato presentato all’interno dei festival Romaeuropa, Nao performing festival, Körperformer.
Giovanfrancesco Giannini
Coreografo e performer. Nasce a Napoli, classe 90. Attualmente collabora con Francesca Foscarini, Alessandro Sciarroni, Cia Aiep Ariella Vidach (Milano), Cie Eco Emilio Calcagno (Parigi), Fabbrica Europa (Firenze), Cia Körper (Napoli), ZA Danceworks. Nel 2018 è assistente di Ariella vidach per il progetto “the migrant school of bodies”, nel 2019 è assistente di Alessandro Sciarroni per il progetto Biennale college, Biennale danza 2019. I suoi Lavori sono stati presentati nei festival: Nao Performing Festival, FOG Triennale performing festival, Fabbrica Europa, Romaeuropa, CCDC festival Hong Kong, Körperformer, Secret Florence. Il suo lavoro CLOUD/ sharing a new intimacy è tra i vincitori del bando NAOcrea 2019 di Aiep Milano e finalista di DNAppunti coreografici 2019 Romaeuropa. Il progetto Memories in collaborazione con gli artisti Fabio Novembrini e Valentina Zappa è tra i vincitori del bando Crossing The Sea 2019 (Marche Teatro). Nel 2020 è tra gli artisti italiani selezionati per CRISOL progetto di internazionalizzazione dei processi creativi finanziato nell’ambito del programma Boarding Pass Plus 2019 promosso dal MiBACT. Ha danzato per numerosi artisti tra i quali: Sang Jijia, Dimitris Papaioannou, Stefano Poda, Luca Veggetti, Mathilde Rosier, Dominique Dupuy, Ismael Ivo, Emanuela Tagliavia, Marco Baliani.

Giancane torna sul palco nei principali club italiani con il Tutto Giusto Tour. Dopo i tantissimi concerti estivi con L’inizio della Fine Tour, il cantautore romano torna sui palchi dei live club italiani con un nuovo spettacolo.
Giancane, al secolo Giancarlo Barbati, nello spazio di due album solisti ha impresso un segnale più che riconoscibile nel modo di scrivere le sue canzoni: una grammatica letteraria fatta di una crudezza espressiva che pesca a piene mani da un parlato di strada, una lingua di tutti i giorni, un’ironia sfacciata, nichilista e discretamente grottesca che ritroviamo in una scaletta che mescola sapientemente i due album.
Componente del celebre gruppo romano Il Muro del Canto, Giancane è un cantautore dal grande senso dell’umorismo e dalla chiara vocazione country. Il suo primo album si chiama Una vita al top ed è uscito alla fine del 2015, preceduto solamente da un EP, Carne, venduto in comodi vassoi in polistirolo da macelleria. Una vita al top è un album country-neomelodico, d’orientamento western, ricco di rime selvagge. Il tour di Una vita al Top e Una vita al Top Deluxe conta oltre 150 date di presentazione in tutta Italia, compresi diversi sold out. Il 16 giugno 2017 esce Limone, il primo singolo estratto dal nuovo disco di inediti. Il video è prodotto da Chef Rubio con la sua società di produzione audiovisiva indipendente TUMAGA e Image Hunters, apprezzata film company romana. Ansia e Disagio è il titolo dell’ultimo disco di inediti di Giancane, uscito il 24 novembre per Woodworm Label. L’album, composto da undici canzoni, racchiude osservazioni pungenti, ironia e una profonda curiosità nei confronti degli stati ansiosi, propri o altrui. Senza dismettere la vocazione folk’n’roll e country-neomelodica che l’hanno reso celebre, Giancane inaugura una nuova stagione compositiva, inventando una nuova grammatica cantautorale di chiara provocazione e vocazione popolare, adatta a qualsiasi età. Come rivela la copertina, il booklet del disco contiene 11 giochi, uno per ciascun brano del disco, ispirati alla “Settimana Enigmistica” e dedicati all’ansia e al disagio: cruciverba, rebus, enigmi e passatempi. Il 17 novembre 2021 è uscito Strappare lungo i bordi colonna sonora ufficiale della serie Netflix di Zerocalcare Strappare lungo i bordi.

Cristina Donà, classe 1967, ha contribuito a definire una nuova stagione del rock di matrice mediterranea ed è una delle poche artiste italiane capaci di “rivaleggiare” con le grandi colleghe che all’estero hanno reinventato il modello di interprete e autrice. Sempre in grado di rinnovarsi, la Donà è divenuta prima punto di riferimento e poi figura ispiratrice per le nuove generazioni di musicisti italiani.
Cristina Donà pubblica il suo primo album Tregua nel 1997. Il disco viene accolto dal pubblico positivamente, gli viene assegnata la Targa Tenco come miglior album di debutto e il celebre batterista Robert Wyatt lo inserisce tra i suoi cinque album preferiti per l’influente mensile britannico Mojo.
Il successo per la cantante continua con la pubblicazione di Nido (1999), con il ricevimento della Targa SIAE come Miglior Artista Emergente da parte del Club Tenco e l’invito al Meltdown Festival del 2001 a Londra, in cui è la prima artista italiana ad esibirsi nella storia della manifestazione.
Gli anni successivi sono pregni di pubblicazioni: Dove sei tu (2003), l’omonimo Cristina Donà (2004), che viene inserito nella Billboard Europe Chart e riceve numerose recensioni positive dal Sunday Times e da Mojo, e La quinta stagione (2007). Quest’ultimo si presenta come un contenitore di tutti gli stili musicali esplorati da Cristina e viene premiato come Miglior Album Italiano del 2007 da Musica&Dischi.
Nel 2008 esce Piccola Testa, in cui la Donà ripropone alcuni dei suoi vecchi brani in una chiave più essenziale avvalendosi per uno di questi del contributo di Giuliano Sangiorgi (Negramaro), e due anni dopo pubblica Torno a casa a piedi (2011).
Nel 2014 torna con un nuovo album Così Vicini, il cui brano Il senso delle cose vince la Targa Tenco come Miglior Canzone. Nel 2016 Cristina riceve il Premio De Andrè per le reinterpretazioni di alcuni brani del cantautore genovese all’Auditorium Parco della Musica di Roma.
Ancora nel 2016 riceve il Premio Bindi alla Carriera e, per festeggiare i vent’anni dalla pubblicazione di Tregua nel 1997, pubblica Tregua 1997-2017 Stelle Buone e si esibisce in un tour speciale che preannuncia l’uscita dell’album.
Dopo aver realizzato Ginevra Di Marco & Cristina Donà (2019), un album creato in collaborazione con la cantautrice Ginevra di Marco, finanziato da una campagna di crowdfunding e sorretto da un fortunato tour estivo, Cristina partecipa a JAZZMI nell’Ottobre/Novembre 2020.
Il progetto più recente della Donà è invece deSidera, insieme un album e un concerto in collaborazione con Ponderosa Music&Art. La stessa cantautrice dice del disco: «deSidera ha preso forma in questi tempi di orizzonti opachi e idee confuse. È una creatura selvatica, che osserva gli esseri umani con la testa un po’ inclinata e gli occhi spalancati, mentre indaga la duplice natura del desiderio, nell’intento di comprendere meglio chi siamo».
L’omonimo concerto è un’occasione per apprezzare la capacità evocativa dell’album nonché gli arrangiamenti non convenzionali, insieme a Cristina Donà sul palco si esibisce il musicista e produttore Saverio Lanza.

Il radiologo esaurito fa le lastre sui cappotti dei pazienti mentre un essere impersonale oltraggia i luoghi della provenienza ansimando su un campo fatto a calcio. Io cresce inumando e disumano, inventando lavatrici e strumenti di quieto vivere. Il radiologo spossato avvolge un neonato con l’affetto della madre, un individualista piega lenzora a tutto spiano fino ad unirsi ad esse per lasciare tracce di seme sul tessuto del lavoro. Tre persone vegliano il sonno a chi lo sta facendo mentre il piegatore di lenzora, appesantito dal suo stesso seme, scivola sotto l’acqua che si fa doccia e dolce zampillare. Io mangia la vita bevendo acqua rotta che è portavoce dell’amaro nascere, il piegatore di lenzora parte per la galassia rompendo l’idillio con il tessuto amato. Si gioca all’oca, parte il dado di sottecchio, Io si affida alla bellezza del profilo per passare sotto infissi angusti. Ogni tanto un torneo, un uomo che cimenta in imprese impossibili ma rese rare dalla sua enfasi, un ufo giallo scrutante esseri e parole, un visionario vede vulva nelle orecchie altrui. E Io, affacciato sul mondo terzo dove scopre che, tra piaghe e miseria, serpeggia l’appetito non supportato dalla tavola imbandita.
Infine la catastrofe: Io si ridimensiona…
Como poco innanto tra clamori e vanto così l’idea dell’inventura porta la mente a vita duratura.
Scena e Struttura
Anche questo allestimento scenico si avvale dei quadri di scena o teli intesi come arte.
Le scene sono coinvolte completamente nell’azione drammaturgica, la struttura è di metallo sottile, sostiene i teli che, disposti in vari piani, risentono del movimento del corpo…
Tutto barcolla.
Il colore dei quadri si espande, il metallo si insinua nella stoffa, i cambiamenti di scena frequenti rinnovano in continuazione l’andatura cromatica. Il giallo, il rosso, il blu di vari tessuti e intensità rispondono in modo diverso alla luce che ne esalta inoltre le diversità della trama.
I verdi in velo, i bianchi di seta, rete o traforati, compatti o trasparenti coprono il corpo rivelandone i contorni; i quadri mutanti hanno vita breve e vengono abbandonati in terra formando macchie colorate sparse in un mondo buio.
La simmetria non esiste, le forme giocano in verticale, i personaggi siano essi solitari o raggruppati, risultano sempre simpatici e vittime di un’agglomerazione.

Luca è Palazzi D’Oriente, produttore e compositore, membro fondatore di 72-HOUR POST FIGHT e 2004Sgrang.
ll suono delle sue produzioni, slegato da classificazioni di genere, rimanda ad una personale ricerca attingendo alla cultura dubstep e post-rock. Nasce nei pressi del lago Maggiore e cresce in provincia di Varese, dove incontra e conosce Alessandro Vanetti (Massimo Pericolo), suo vicino di casa, e la maggior parte dei componenti di 2004 Sgrang, tra questi Carlo Luciano Porrini (Fight Pausa).
Dopo aver lavorato a varie produzioni, pubblica agli inizi del 2018 il suo primo lavoro come Palazzi D’Oriente: morgengabe inizialmente distribuito come self-release DIY. Nei mesi successivi Luca porta in scena una performance audio-video in diversi eventi a Milano, entrando così in contatto con l’etichetta La Tempesta con cui decide di ripubblicare morgengabe in formato digitale.
Durante il 2018 avvia assieme a Fight Pausa 72-HOUR POST FIGHT, progetto collaborativo dove la natura elettronica delle loro produzioni si combina con l’intervento di due strumentisti (Andrea Dissimile, Adalberto Valsecchi). L’album è stato rilasciato da La Tempesta International agli inizi del 2019, seguito il 25 ottobre dello stesso anno da un’edizione in doppio vinile accompagnata da una versione del disco interamente reinterpretata da vari artisti vicini al progetto. Nel 2019 viene ripubblicata anche la prima collaborazione con Massimo Pericolo: Sabbie d’oro, originariamente rilasciata nel 2018, certificata Disco D’oro nel 2020. Nel 2020 l’artista collabora anche con la Visual Artist Rebecca Salvadori al progetto audiovisivo Flux 101.
Nel 2021 Palazzi D’Oriente ritorna nei cataloghi di La Tempesta International con un nuovo album: Sheltering Water. Il disco, un cinematico susseguirsi di suggestioni elettroniche e field recordings realizzati dall’artista, è suggestionato dal folklore locale dell’area del Lago Maggiore in cui l’artista è cresciuto e dall’alienazione che la provincia italiana genera. Una personale riflessione su vita, morte e l’influenza che questo luogo ha sul destino delle persone che le abitano.


Uscito venerdì 25 febbraio 2022, Songs in a conversation (FioriRari distributed by Artist First), il nuovo progetto di Roberto Angelini e Rodrigo D’Erasmo, un omaggio a Nick Drake a 50 anni dall’uscita del suo ultimo lavoro discografico Pink Moon, un album epocale, un piccolo, breve, delicato e misterioso capolavoro che sarebbe sbocciato col tempo raccogliendo un numero straordinario di estimatori appassionati e consacrando un artista unico nel suo genere.
Roberto Angelini e Rodrigo D’Erasmo saranno in tournée a partire da primavera 2022, omaggiando Nick Drake nei principali club e teatri d’Italia. Il tour è prodotto da Vertigo.
Songs in a conversation nasce dal desiderio di testimoniare la grande passione per l’intramontabile Nick Drake, per tramandare e far conoscere ai giovani musicisti la sua eredità artistica e poetica, ricca di fragilità, lirismo e sensibilità, dando un tocco contemporaneo e moderno per restituire la magia e il carattere onirico delle versioni originali. Questo secondo tributo, che arriva dopo Pongmoon – Sognando Nick Drake del 2005, rappresenta una profonda interpretazione e condivisione delle tematiche e dei toni controcorrente di Drake, in cui sono di forte impatto ed emergono le mille sfaccettature dell’animo umano.
Il progetto è composto da 11 tracce, suddivise tra un Lato A e un Lato B. Le prime due tracce del Lato A sono state registrate e prodotte da John Wood, fonico e produttore storico di Nick Drake, presso i Vada Recording Studios in UK (a poche miglia dalla casa natale di Drake), mentre le altre tre, sono state registrate in un secondo momento a Roma da Daniele Ilmafio Tortora, sodale di questo progetto. Per ricreare un sound anni ‘70, molto naturale, autentico e dai toni caldi, Roberto Angelini e Rodrigo D’Erasmo hanno coinvolto la band con cui collaborano da sempre, composta da Fabio Rondanini alla batteria, Gabriele Lazzarotti al basso e Andrea Pesce al pianoforte.
Il Lato B invece è composto da pezzi suonati e cantati live da Rodrigo e Roberto insieme ad amici, ospiti, fan di Drake. Questi brani sono stati catturati durante le riprese del documentario Songs in a conversation. Le tracce sono delle versioni molto semplici e minimal, dove la voce degli artisti e il sound prodotto dalla chitarra si uniscono in perfetta armonia con i dolci suoni che riecheggiano dalla natura circostante.
Rodrigo D’Erasmo, tra i più celebri violinisti, polistrumentisti, compositori, arrangiatori e produttori della scena musicale, in passato aveva già lavorato con Roberto Angelini su Drake in alcuni progetti, tra cui Pongmoon – Sognando Nick Drake, il primo tributo al grande cantautore che restituisce ai suoi capolavori quella dimensione live ed intima che certamente desiderava, e un documentario per la regia di Giorgio Testi per Sky Arte, presentato anche alla Festa del cinema di Roma, dal titolo Songs in a conversation, da cui il disco prende nome. In questa occasione, Roberto Angelini e Rodrigo D’Erasmo hanno raccontato la musica del cantautore inglese attraverso un viaggio collettivo, introspettivo e avvincente nella natura tanto celebrata e amata da Drake, arricchito dai contributi di alcuni artisti italiani, tra cui Andrea Appino, Manuel Agnelli, Niccolò Fabi, Piers Faccini e Any Other, oltre che dall’incontro in studio di registrazione con John Wood, il sound engineer e producer che ha registrato tutti gli album di Nick Drake. Grazie a questa esperienza emozionante con John Wood, uomo d’altri tempi e adorabile gentleman inglese che vive ad Aberdeen lavorando e registrando ancora come nei mitici 70’s, Roberto Angelini e Rodrigo D’Erasmo hanno avuto l’onore di toccare con mano e conoscere il passato di Wood, ricco di straordinari aneddoti e di profonda ammirazione e gratitudine nei confronti del mostro sacro Nick Drake.
In correlazione al nuovo progetto discografico, Roberto Angelini ha unito passione ed arte e ha realizzato due opere in plastilina, divenute per l’occasione rispettivamente la cover e la quarta del disco, così come era già stato realizzato nel primo album dedicato a Nick Drake Pongmoon – Sognando Nick Drake nel 2005.
Rodrigo D’Erasmo
Violinista, polistrumentista, compositore, arrangiatore e produttore di formazione classica. Dal 2001 ad oggi ha registrato decine di album in tutto il mondo collaborando in studio e live con numerose band e artisti tra cui Mark Lanegan, Muse, Damon Albarn, Rokia Traoré e molti altri. Dal 2008 è membro degli Afterhours, con i quali ha vinto il premio della critica al Festival di Sanremo 2009 e il premio Tenco nel 2012. Nel 2011 è stato premiato dal M.E.I come miglior musicista dell’anno in assoluto. È stato producer ad X Factor nelle edizioni 10,11, 13 e 14 nel team di Manuel Agnelli. A partire dal 2014 ha diretto l’orchestra di Sanremo per vari artisti tra cui Diodato, con il quale nel 2020 ha vinto il Festival con il brano Fai Rumore. Nel 2021 è stato direttore d’orchestra e arrangiatore di 4 artisti in gara. Ha composto colonne sonore per il cinema e per la TV tra cui il cortometraggio Chiusi Fuori con Colin Firth e Stefano Accorsi presentato alla biennale del cinema di Venezia nel 2021. Rodrigo D’Erasmo ha anche composto numerose colonne sonore di documentari tra cui: C’era 2 volte Rodari, Fantastic Mr. Fellini per Sky Arte e l’ultima produzione internazionale di Sky hub, Art Raiders.
Roberto Angelini
Esordisce come cantautore nel 2001 con l’album Il Signor Domani e nello stesso anno partecipa a Sanremo Giovani con l’omonimo brano, vincendo il Premio della Critica. Nel 2003 pubblica l’album Angelini che contiene le hit GattoMatto e La Gioia del Risveglio e poco dopo fonda una sua etichetta indipendente Fiorirari, pubblicando due dischi a suo nome, La Vista Concessa nel 2009 e Phineas Gage nel 2012. Firma come co-produttore l’album di Niccolò Fabi Tradizione e Tradimento nel 2019, partecipando anche al lungo tour di presentazione del disco, come membro stabile della band. Come autore scrive il brano Calore che lancia, con la vittoria di Amici nel 2010, la carriera di Emma Marrone. Nel 2021 esce, per l’etichetta FioriRari, il suo quinto album intitolato Il cancello nel bosco e nel 2022 sarà in programmazione su RaiPlay la nuova serie Il Santone, di cui Roberto Angelini ha composto tutte le musiche originali.


Si devono avere ricordi di molte notti d’amore, nessuna uguale all’altra, di grida di partorienti, e di lievi, bianche puerpere addormentate che si richiudono. Ma anche presso i moribondi si deve essere stati, si deve essere rimasti presso i morti nella camera con la finestra aperta e i rumori che giungono a folate. E anche avere ricordi non basta. Si deve poterli dimenticare, quando sono molti, e si deve avere la grande pazienza di aspettare che ritornino. Poiché i ricordi di per se stessi ancora non sono. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto, senza nome e non più scindibili da noi, solo allora può darsi che in una rarissima ora sorga nel loro centro e ne esca la prima parola di un verso. [Da I quaderni di Malte Laurids Brigge di Rainer Maria Rilke]
Il 2 novembre è il giorno dei morti. Un vecchio ‘nzenziglio e spetacchiato, rimasto solo in una casa vuota, prepara una pietanza tradizionale per onorare la festa. Con acqua, farina e zucchero il vecchio impasta l’esca pe li pesci de lo cielo: il pupo di zucchero, una statuetta antropomorfa dipinta con colori vivaci. In attesa che l’impasto lieviti richiama alla memoria la sua famiglia di morti. La casa si riempie di ricordi e di vita: mammina, una vecchia dal core tremmolante, il giovane padre disperso in mare, le sorelle Rosa, Primula e Viola “tre ciuri c’addorano ‘e primmavera”, Pedro dalla Spagna che si strugge d’amore per Viola, zio Antonio e zia Rita che s’abboffavano ‘e mazzate, Pasqualino il figlio adottivo.
Secondo la tradizione in alcuni luoghi del Meridione c’è l’usanza di organizzare banchetti ricchi di dolci e biscotti in cambio dei regali che, il 2 novembre, i parenti defunti portavano ai bambini dal regno dei morti. Durante il rituale, in quella notte, la cena era un momento di patrofagia simbolica; nel senso che il valore originario dei dolci antropomorfi era quello di raffigurare le anime dei defunti. Cibandosi di essi, era come se ci si cibasse dei propri cari.
Liberamente ispirato allo cunto de li cunti di Gianbattista Basile, lo spettacolo racconta la storia di un vecchio che per sconfiggere la solitudine invita a cena, nella loro antica dimora, i defunti della famiglia. Nella notte fra l’uno e il due novembre, lascia le porte aperte per farli entrare.
Nello spettacolo, sono presenti dieci sculture create da Cesare Inzerillo che mostrano il corpo osceno della morte. In Pupo di zucchero la morte non è un tabù, non è scandalosa, ciò che il vecchio vede e ci mostra è una parte inscindibile della sua vita. Ciò non può che intenerirci. La stanza arredata dai ricordi diventa una sala da ballo dove i morti, ritrovando le loro abitudini, festeggiano la vita.


Chitarra, basso e batteria sostenui da una voce graffiante per un “Fuckin’Rock” puro, asciutto e una vocazione naturalmente internazionale. Sono i Mutonia. Dopo aver infiammato palco e tavolo di XFactor 2021 gareggiando nella squadra di Manuel Agnelli, con il quale hanno sfidato regole e ipocrisie del gioco, la band torna finalmente alla dimensione live e al proprio pubblico: quello storico della Mutonia Fuckin’ Family e quello che è stato travolto
dalla potenza di Rebel, singolo che ha segnato il loro passaggio nel talent e che li ha visti anche diventare immagine della playlist Rock Italia di Spotify.
I Mutonia sono Prostin/Matteo De Prosperis (chitarra/voce), Fabbio/Fabio Teragnoli (basso/synth) e Mr. Taco/Lorenzo Riccobene (batteria).
La band si forma nel 2009 a Ceprano (FR). Ha all’attivo 7 album, due dei quali live session. L’ultimo lavoro in studio è Radio EP, rilasciato a dicembre 2019. Uno dei singoli estratti dall’album, Nervous Breakdown, è il brano che ha consentito alla band di entrare in gara a XFactor 2021.
L’ultimo singolo edito è Rebel, prodotto da Manuel Agnelli e Rodrigo D’Erasmo.

Una travolgente, molto fisica e molto dialettica, parabola apocalittica, post consumistica post capitalistica, in bilico fra enciclopedismo volteriano e fragori dadaisti da Cabaret Voltaire. Gabriele Rizza, “Il Manifesto”
Chi l’avrebbe mai detto? Un’intera generazione cresciuta con il dovere morale di inseguire passioni, prosciugare patrimoni familiari e primeggiare nella scalata sociale si ritrova oggi con la terra che le frana sotto i piedi. Che sorpresa amara per i plotoni di volenterosi giovani e meno giovani venuti su a colpi di studio matto e disperatissimo: quella che doveva rivelarsi una terra promessa a misura dei loro sogni non è altro che un paradiso perduto, o forse, più banalmente, uno pseudo-lavoro sottopagato e frustrante. Questa classe media delusa, fin troppo acculturata, ormai neanche più agiata come voleva a fine Ottocento Thorstein Veblen, è la protagonista di Teoria della classe disagiata, un saggio che dalla sua uscita nel 2017 per i tipi di minimum fax si è trasformato da fenomeno web in vero caso editoriale.
La classe disagiata è il residuo di un capitalismo in declino inesorabile, che fatica sempre di più a tutelare le istituzioni laiche della cultura e dell’educazione: un ampio spettro di casi umani condannati a un’estinzione travagliata, troppo ricchi per rinunciare alle loro aspirazioni intellettuali e artistiche ma troppo poveri per poterle realizzare. Invischiati nelle sabbie mobili socioeconomiche, disarmati di fronte a questo scacco imprevisto e fatale, sfogano il loro risentimento in una lotta fratricida, tentando di arraffare la più piccola briciola di prestigio.
Nel dipingere questo dramma borghese, a volte più simile a una tragedia esistenziale, il libro rilegge l’economia come fosse letteratura e la letteratura come fosse economia, convocando autori come Shakespeare, Goldoni, Cechov, Molière. Così, grazie anche al successo di un crowdfunding che ha raccolto oltre 150 sostenitori, la teoria del libro si è tradotta nella pratica del palcoscenico. Del resto, per trattare questi paradossi non c’è contesto migliore del teatro: perennemente dato per spacciato, costantemente piegato da costi vivi e assi che scricchiolano, da sempre profondamente disagiato eppure mai davvero estinto.
Due “rappresentanti di classe” conducono questo varietà tragico in cui si fanno portavoce delle mistificazioni, delle fragilità, delle meschinità di se stessi e dei loro simili, barcamenandosi fra il ridicolo e il macabro, squadernando un album di parabole letterarie e filosofiche, scambiandosi il ruolo di ragione e sentimento, vittima e carnefice, sacerdote e sacrificato; sono l’economista e il bovarista, il Todestrieb e il Lebenstrieb della classe disagiata, gli officianti del funerale di un’illusione collettiva.


La situazione globale, a livello politico, sociale ed ambientale è in declino, è insostenibile sotto tutti i punti di vista. La condizione individuale non è da meno, viviamo tutti costantemente nel disagio, ci sentiamo in vari modi inadatti o veniamo considerati tali da quella stessa società che costituiamo, che ci impone parametri di “normalità” e condanna la ricchezza dell’unicità.
Discobunker racconta di un essere umano che sceglie di sopravvivere affidandosi ai propri impulsi, un uomo solo in un mondo distrutto dalle forze della natura che hanno preso il sopravvento, ridefinendo la presenza umana sulla Terra.
Ci chiediamo provocatoriamente quanto non sia più giusto ambire all’estinzione, non più esorcizzarla ma desiderarla, per il bene del pianeta che ci accoglie e che ha diritto di sopravvivere alla nostra ingordigia.
Chiudiamo porti, costruiamo muri, abbandoniamo plastica e persone in mare, lasciamo che durino conflitti risolvibili e tutto questo non basta a stimolare azioni concrete. Siamo tutti sempre connessi, informati ma assuefatti all’orrore. Preferiamo sedarci accumulando e illudendoci che non ci riguardi.
Non siamo vivi, sopravviviamo ignorando il confine col punto di non ritorno.
Discobunker racconta la necessità, oggi più che mai, di fare quello che serve per essere presenti a noi stessi, per essere in contatto con i nostri desideri, con le nostre passioni e lasciare che ci tengano in vita. Ogni momento è sempre quello giusto per scegliere di essere vivi.

Racconto storie (che contengono storie (che contengono altre storie)). A volte sopra un palcoscenico. A volte in video. A volte dentro un libro. Roberto Mercadini
“Ma questa è la più strana delle meraviglie!” dice Orazio ad Amleto, dopo aver visto il fantasma del re.
Ecco, sono più o meno le parole che mi vengono alle labbra certe volte quando penso a Wlliam Shakespeare. Ai vertici incredibili della sua arte (incredibilmente alti e incredibilmente numerosi). Allora provo a raccontarvi lui, il suo tempo, il suo teatro, lo stupore e lo sgomento che io sento di fronte a questo titano. Ci provo usando le stesse parole che lui fa pronunciare ai suoi stupefatti e sgomenti personaggi. Vale a dire, vi parlo di Shakespeare con le frasi che lui ha usato per parlare di tutti noi. Quelle frasi che sembrano già dire ogni cosa. E di fronte alle quali si pensa, a volte, “il resto è silenzio” (che, per l’appunto, è un’altra frase di Shakespeare).
Roberto Mercadini (Cesena, 1978), narratore, autore-attore, scrittore, poeta e divulgatore, si esibisce in tutta Italia con i suoi monologhi che spaziano dalla Bibbia ebraica all’origine della filosofia, dall’evoluzionismo alla felicità. Nel 2018 esce Storia perfetta dell’errore edito da Rizzoli, il suo primo romanzo giunto già alla sua quinta ristampa. Nel 2019 il Teatro Stabile d’Abruzzo produce il suo spettacolo teatrale Vita di Leonardo, regia di Alessandro Maggi. Nel 2020 esce, ancora per Rizzoli, Bomba atomica. Attivo in rete, ha un canale canale YouTube seguito da oltre 140.000 followers.

Glocal Sound è un’iniziativa ideata dai Circuiti Multidisciplinari di Piemonte, Marche, Toscana, Lombardia, Emilia-Romagna, Sardegna, Veneto, Lazio, Puglia e dal Centro Servizi Culturali Santa Chiara di Trento. Un’occasione dedicata ai giovani musicisti e alle loro composizioni, senza limiti di genere o stile: dalla musica colta alle sonorità contemporanee e al jazz, dalla popolare all’elettronica, in una generale ibridazione e commistione di forme. Obiettivo è la creazione di opportunità per la circuitazione della musica delle nuove generazioni quale strumento identitario e di aggregazione.
R.Y.F.
Francesca Morello, in arte R.Y.F., pubblica il suo nuovo album Everything Burns per Bronson Recordings. Una sovversiva danza del fuoco dance punk. Everything Burns è la prima incursione di R.Y.F. nella musica elettronica ed è un omaggio a un esplosivo periodo di ispirazione. Con la pandemia che ha costretto i musicisti a uno stop, Morello si è trovata a lavorare meno con la chitarra e maggiormente con sintetizzatori e drum machine, strumenti che ha imparato ad apprezzare grazie a nomi d’avanguardia come Moor Mother e Special Interest. Se nel sound Everything Burns è un’irresistibile combo di electroclash e punk, da un punto di vista tematico si rivela una radicale miscela di gioia e rabbia. Quarto disco all’attivo, Everything Burns abbatte qualsivoglia paletto di genere celebrando la coesistenza degli opposti complementari. È musica per ballare in maniera sfrenata e liberatoria, oppure per distruggere una stanza dalle pareti troppo strette.
Il canto di R.Y.F. è profetico e sovvertitore: un flusso di coscienza appassionato e sconvolgente. Sensibilità incendiaria.
[Valentina Zona, “Rockerilla”]
Un disco tostissimo, caratterizzato da un incalzare impetuoso, da ritmiche post-industriali, da sintetizzatori forsennati, da una ruvidità che non contempla mezze misure.
[Pierluigi Lucadei, “Blow Up”]
Un suono elettronico e potente, a tratti ballabile, bruciante e diretto. […] Un album riuscitissimo.
[Lino Brunetti, “Buscadero”]
LADYHALO
È il risultato delle influenze musicali differenti delle due artiste, Laura Vasari e Alice Belli che si uniscono in un music-shake di elettronica, pop, RnB, soul e downtempo. Oltre a diversi live nel territorio locale, LADYHALO ha partecipato recentemente al Glocal Sound Giovane Musica d’Autore in Circuito all’interno del Reset Festival, con il quale avrebbe dovuto svolgere concerti durante il 2020. Nel 2021 si esibiscono in varie serate della scena pesarese.


Questo è il tempo in cui attendo la grazia è una biografia onirica e poetica di Pasolini attraverso le sue sceneggiature. Georges Didi-Huberman nel suo saggio Come le lucciole scrive: «Tutta l’opera letteraria, cinematografica e persino politica di Pasolini sembra attraversata da momenti di eccezione in cui gli esseri umani diventano lucciole – esseri luminescenti, danzanti, erratici, inafferrabili e, come tali resistenti – sotto il nostro sguardo meravigliato».
I temi dello sguardo e dell’ecfrasi sono centrali in questo lavoro, Si comincia col bambino che vede il mondo, la luce, la natura, sua mamma per la prima volta (Edipo) e si prosegue con lo sguardo antico e religioso sul mondo del Centauro (Medea) e si arriva fino allo sguardo su un’Italia imbruttita dal nuovo fascismo consumista (la forma della città) passando per la “disperata vitalità” presente nel fiore delle Mille e una notte e per la scena della Ricotta nel quale il regista viene intervistato e recita “io sono una forza del passato”. I termini “vede”, “come visto da”, “vediamo”, “guarda”, “Attraverso gli occhi di…” compaiono molto spesso in tutti i testi scelti e creano questo filo rosso sul tema del vedere che è molto importante in un periodo nel quale la capacità di guardare le cose si è atrofizzata.
Per questo motivo il materiale letterario che abbiamo scelto è tratto dalle sceneggiature: Sfogliando una sceneggiatura di Pasolini entriamo immediatamente nella sua officina poetica e in quelle “folgorazioni figurative” per i pittori medievali e manieristi studiati sotto la guida di Roberto Longhi. Quello che ci interessa esplorare non è il suo cinema (cioè il prodotto definitivo delle sceneggiature) ma il suo sguardo. Uno sguardo che ci riguarda, sempre.
Il titolo dello spettacolo è tratto da un verso della poesia di Pasolini, Le nuvole si sprofondano lucide, inserita nella raccolta Dal diario (1945-1947) , Salvatore Sciascia, Caltanissetta maggio 1954.
Fabio Condemi
(Ferrara, 1988) diplomato al corso propedeutico della scuola del Teatro Stabile di Genova e nel 2015 all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico di Roma. Dal 2016 è assistente di Giorgio Barberio Corsetti con il quale ha collaborato per diversi allestimenti teatrali e operistici. Nel 2017 presenta lo studio de Il sonno del calligrafo tratto dal romanzo Jakob Von Gunten di Robert Walser alla sezione College della Biennale Teatro di Venezia, ricevendo una menzione speciale per “il rigore e l’inattesa ironia con cui ha affrontato un autore complesso come Robert Walser (…)”. Nel 2018 il suo lavoro Jakob Von Gunten debutta alla Biennale Teatro di Venezia e nel 2020 è di nuovo ospite in laguna con La filosofia nel boudoir di de Sade.
Gabriele Portoghese
(Milano, 1982) inizia il suo percorso sotto la guida di Carlo Cecchi. Ha lavorato, tra gli altri, con Andrea Baracco, Valerio Binasco, Ferdinando Bruni, Fabio Cherstich, Giorgio Barberio Corsetti, Roberto Rustioni, Federica Santoro. Dal 2015 collabora col regista Fabio Condemi. Premio Ubu come miglior attore nel 2021.


Pensavo che se fossi arrivato al tessuto che ci costituiva, sarei stato contemporaneamente ciò che lo manteneva, lo nutriva, l’animava. P.Sollers.
Questa mia nuova creazione coreografica nasce dal desiderio di affrontare il tema della riunificazione, la nostalgia dell’unisono. La prima suggestione arriva dalla visione di Pastorale (Rhythm), di Paul Klee. Pastorale è il terzo lavoro di un ciclo di quattro rituali coreografici esperienziali concepiti a partire dalla creazione di pratiche anatomiche che si dispiegano nel comporre la dimensione spaziale e coreografica del rituale.
Durante le varie fasi di ricerca Pastorale prende spunto da un aforisma del compositore americano Moondog: “Non ho intenzione di morire in 4/4!” Il mio interesse a lavorare con la sua musica nasce dal desiderio di esplorare l’universo che l’ha generata, caratterizzata da quello che lui definiva “Snaketime” un ritmo scivoloso. Un altro incontro fondamentale per questo lavoro è stato il testo Numeri di Philippe Sollers, composto da cento capitoletti numerati in serie di quattro, che narra il nostro esistere su questa terra come un costante inseguimento, un costante derivare l’uno dall’altro.
In Pastorale, la coreografia vuole essere l’accorgimento creato per emergere da sé e accedere all’altrove, per unirsi al fuori e all’altro che è prossimo a noi. Si punta a cercare una continua accordatura, una catena ritmata, una salda alleanza tra corpi che generano una danza che si dipana come un moto perpetuo; come se la mente corporea vivesse costantemente in allerta, attenta a tutti i suoni, ai ritmi da cogliere e ordinare. In questo modo, essa può accedere a un sistema in grado di intonare il proprio corpo ad un ritmo universale. Questa pratica sarà una risorsa per creare uno spazio emotivo in cui esplorare la fragilità di questo legame, e i rischi associati alla sua perdita.
Attraverso la composizione coreografica, l’obiettivo è quello di creare un processo mantrico che permetta ad ogni performer di avvicinarsi gradualmente e allinearsi con il collettivo. Nella continua accordatura tra i corpi è possibile intravedere la nascita di una mente collettiva che ridistribuisce costantemente i corpi e gli eventi, un rituale cui affidarsi, nel tentativo di cogliere e cavalcare quell’intangibile empatia e sintonia che esiste tra loro, capace di trasportarli attraverso una nuova apertura di luce, via di fuga per raggiungere quell’altrove che è puro stato di grazia. In particolare, il lavoro si sviluppa attraverso la creazione di un sistema di segni, a disposizione dei danzatori come strumenti con cui allinearsi gradualmente l’uno con l’altro.
Questi segni nascono da una costante descrizione percettiva delle dinamiche che li circondano nel percorrere la matrice coreografica che li produce costantemente. I segni emergono come descrizione di natura percettiva delle dinamiche circostanti in cui una matrice coreografica produce costantemente variazioni di ritmo e di spazio. Così i movimenti di un corpo generano risonanze in quelli vicini, come una serie di onde concentriche in espansione, che gradualmente si rafforzano a vicenda nel tentativo di afferrarsi, raggiungersi per non perdersi. Una riflessione quindi, sul senso di cooperazione nella contemporaneità, sulla necessità di tornare ad un processo inclusivo e di ascolto reciproco. Sulla cura costante verso questo funzionamento che ci svela inscritti gli uni negli altri.


Marta Del Grandi è una cantante e compositrice milanese.
Musicista di formazione jazzistica, studia al Conservatorio G. Verdi di Milano e in Belgio presso il Royal Conservatory of Ghent. Guidata da una forte passione per il viaggio e per la scoperta di luoghi e culture diverse in seguito si trasferirà prima in Cina, per un breve periodo, e poi in Nepal, dove si fermerà per due anni e mezzo a Kathmandu. Vivere in un luogo così diverso e farne una conoscenza profonda influenza molto il suo sguardo sul mondo e di conseguenza la musica e i testi che scrive per il suo debutto solista Until We Fossilize (2021). Il disco, uscito per l’etichetta britannica Fire Records, è un lavoro di avant-pop che vede coesistere stilemi folk-rock, atmosfere lynchiane e arrangiamenti che richiamano le colonne sonore di Morricone.


Premio “Danza & Danza 2020” Miglior Produzione
spettacolo selezionato NID Platform 2021
Toccare è uno stato dell’esistente, ha a che vedere con la vita delle forme e la possibilità che esse hanno di trovare una misura, di posare i corpi nello spazio con sobrietà. TOCCARE the White Dance, nel suo pensiero coreografico intende mettere in atto un’esperienza estetica che riveli la potenza del toccare come gesto fondante il mondo, quello sensibile dei corpi ma anche quello della materia insensibile, la semplice intimità di un sentire radicalmente aperto. Questo primato del toccare è da intendersi nell’ambito di un pensiero per il quale il tratto saliente dell’esistenza è il suo essere singolare-plurale, riconoscere che siamo sempre già aperti all’altro dall’interno così come dall’esterno.
Toccare l’altro significa toccare tutti i possibili altri, inclusa la propria persona, incluso l’insensibile nel sensibile, significa ripensare radicalmente la natura dell’essere e del tempo.
Il toccare è dunque inteso come un approssimarsi al mondo di un soggetto che è infinita esposizione. L’esser qui fianco a fianco nella composizione dei corpi senza prevedere il ritorno presso di sé, commuovere l’estensione ed estendere l’emozione in una simultaneità che coincide con l’esistenza stessa. Corpi che toccano dunque e così facendo si fanno carne, ma è un tocco distaccato, è un gesto del toccare senza dominio, come incantato in una potenza espressiva che ingloba su di sé tutti gli sguardi di un intermezzo estatico.
Non esercitare tutto il potere di cui disponiamo, vuol dire attivare una presa che non possiede. Disinnescare la tirannia di un corpo colonizzato dal perenne profitto, vuol dire esercitarsi ad un movimento che è contagiosamente e gioiosamente vivo. La riattivazione di un corpo erotico dismesso dal narcisismo hyper sessualizzato che costruisce architetture d’isolamento è un problema politico ma è soprattutto una responsabilità comune e senza calcolo che condividiamo con tutti gli oggetti umani e non umani, è una dimensione estetica che ci mette in contatto con la pienezza del nulla che sta al cuore della materia e con le qualità sensuali di un mondo che non è più Mondo, per un’ecologia senza ritorno.
La creazione si sviluppa in sinergia con la riscrittura di Les Pièces de clavecin di Jean-Philippe Rameau a cura del compositore Ruggero Laganà, in una dimensione musicale materica e astratta, trasfigurata dal contesto iniziale, ma caratterizzata dalle qualità insite nel modello Settecentesco. Il Traité de l’harmonie réduite à sesprincipe naturels di Rameau del 1722, preannuncia una nuova concezione della musica come linguaggio espressivo non solo delle emozioni e sentimenti individuali, ma della divina e razionale unità del mondo.
La pièce è pensata per 4 corpi danzanti coinvolti in una danza senza soluzione di continuità, una composizione tattile in puro abbandono di se stessi, una ‘danza da camera’ che mette a nudo una tecnologia fatta di precisione analitica e contrappunto cinetico. Il numero 4 è manifestazione di ciò che è concreto, immutabile e permanente ed ha la sua espressione geometrica nel quadrato, che ben rende tutte le sue caratteristiche. È il numero della materia, del moto e dell’infinito, rappresentando sia il corporeo che l’incorporeo. The White Dance la coda del titolo evoca sia il famoso The White Album dei Beatles che, reduci dalla trasferta in India e dall’esperienza della meditazione trascendentale, composero nel 1968 uno degli album più variegati del gruppo, di pura sperimentazione, sia il termine Ballet Blanc, usato per indicare una particolare sezione del balletto nel quale dominano creature diafane e immateriali, rappresentate nel costume da abiti bianchi.

Maria Arena: Posate lucenti su una candida tovaglia, adagiate al loro posto da mani sicure. Tutto intorno il resto precipita, cadenzato dalla ronzante voce canzonatoria di una volontà intangibile. Ogni barlume è una copia, ogni tintinnio è una distrazione. In una cornice di minuterie replicabili e triviali, cosa resta del perpetuo fervore?
All that fall è la seconda parte di un progetto dove si riflette sulla città e sul senso dell’abitare. Il progetto risente di questa sospensione di ogni giudizio sulla natura delle cose, derivata dall’estrema fragilità della realtà infettata. Seconda parte che tratta del cadere. Dentro uno spazio vuoto, forse un teatro, un cameriere si occupa di provare a rimettere in ordine le cose in sola compagnia o assillo di un esuberante cam girl.
Un aspetto comune di molti spettacoli realizzati dalla Scuola di Scenografia è il rapporto che esiste tra la “machina” scenica e spettatore. Un crash test impegnativo per tutti. Più che inseguire il coinvolgimento della partecipazione, questa ricerca ha assunto nel tempo il compito di misurare con attenzione l’avvenimento inatteso che interrompe il corso regolare di un’azione.
Mai come in questo periodo i teatri sono finiti in televisione. Indipendentemente dall’opera che veniva messa in scena; il vuoto a norma di legge ha trasformato la retorica accogliente di questi luoghi in allegorie indefinite ed eloquenti di questa interminabile interruzione dalla vita. Per questo abbiamo chiesto e ottenuto di mettere in scena il nostro lavoro dentro un teatro, per guardare tutti assieme di un corpo e di oggetti che scendono verso il basso mossi dal proprio peso, dentro il teatro della città ideale. È la prima volta che accade qui a Urbino.
Chiediamo scusa per aver preso in prestito il titolo di un famoso radiodramma di Samuel Beckett del 1956, ma un po’ anche dal That’s all Folks con cui finivano Looney Tunes e anche e soprattutto a Bob Fosse per All that Jazz.

Superare la frontiera tra me e te: arrivare a incontrarti, per non perderci più tra la folla. […] Trovare un luogo in cui essere insieme sia possible. […] Una cosa che consisterà in una messa in vita gli uni con gli altri e il giorno santo diventerà possibile. J. Grotowski
Monjour è un dispositivo performativo che mette al centro una riflessione sul potere e sul gioco di manipolazione tra performer e spettatore. Monjour è un “cartoon contemporaneo” fatto di corpi in carne ed ossa guidati dall’ironia di Silvia Gribaudi con la complicità visiva di Matteo Maffesanti, dai disegni di Francesca Ghermandi, dalle luci teatrali di Leonardo Benetollo e dai funambolici performer: Riccardo Guratti, Timothée- Aïna Meiffren, Salvatore Cappello, Nicola Simone Cisternino e Fabio Magnani. Qual è l’interdipendenza tra pubblico e performer? Qual è la responsabilità reciproca tra spettatore ed artista? Monjour è un giorno per esistere insieme nello spaesamento. Ma cosa siamo disposti a dare per continuare ad esistere?
Monjour è composto da 2 danzatori, 1 clown/attore e 2 acrobati. Il lavoro prevede pratiche coreografiche sul rapporto tra corpo e comicità, tra disegno ed estetica nella relazione tra performer e pubblico.
In Monjour una regista/performer è in dialogo dalla platea con i performer destrutturando e ricostruendo le immagini che il pubblico vede durante la performance e creando un virtuosismo fisico comico e coreografico.
La messa in scena, accesa dai disegni pop dall’artista Francesca Ghermandi, rende permeabili i confini tra artisti e regista, scompagina gli ordini e i ruoli, diviene un urlo che mette al centro la fragilità umana come punto di forza, la fallibilità come potere rivoluzionario, l’inaspettato come possibilità di vedere oltre ai limiti previsti.



Anche se nei sogni è tutta illusione e nulla più
[Da La bella addormentata nel bosco di Walt Disney]
Walter è un walzer futuristico.
Due corpi e una regola danzano insieme per ricreare l’incanto, immersi nello stesso spazio e nello stesso tempo, uniti dall’1-2-3. Come in una corte aristocratica o in una ballroom popolare, intrighi, amori e incontri nutrono lo spazio. L’aspetto umano si svela in un perimetro fantastico e circolare, dove la ridondanza dei movimenti è condivisa con chi guarda. Una ripetizione che aiuta l’opera a ricreare l’incanto perduto di un passato affezionato alle fiabe. Walter gira gira gira e non si ferma più.

Memento è una pièce di danza che si fonda sul non-evento. Come nel capolavoro beckettiano, Aspettando Godot, la tensione è creata dal susseguirsi di speranze che non trovano uno sfogo concreto. Così allo stesso modo, nella vita, ogni momento è attesa di qualcosa di definitivo che poi, quando pensiamo di averlo ottenuto, scopriamo sempre essere frammentato e soggettivo. All’interno della coreografia i performer vivono quest’attesa e, nella ricerca di una risposta definitiva, divina e non, alla loro condizione esistenziale, cercano conforto l’uno dall’altro, si sfidano, oppure, come un coro, tendono tutti verso lo stesso punto. Alla fine, la meta stessa del loro viaggio si concretizzerà nel ricordo (memento significa, per l’appunto, “ricordati”) di questi rapporti e delle sensazioni che hanno sentito, rendendo la stessa un momento rituale, un atto sacro, e quindi eterno.
Note di regia
La successione di tensione e calma apparente coinvolge ogni aspetto della messa in scena. Le luci si appoggiano sui performer come macchie che improvvisamente appaiono e, altrettanto improvvisamente, svaniscono, trasmettendo l’ansia e l’agonia che sentono i protagonisti della pièce.
L’atmosfera di inquietudine tende a essere amplificata da un eterno ritorno all’immobilità coreografica, immobilità che però viene costantemente messa in discussione, oltre che dalla progressione di luce e oscurità, anche dalla dinamica scenografica che, rievocando quei luoghi che sembrano sospesi tra il terreno e l’ultraterreno come il complesso monolitico di Stonehenge, aumenta il senso di incertezza e di disequilibrio interiore. Anche la partitura musicale contribuisce a creare questo effetto di sospensione e ripartenza costante. Se da un lato, attraverso momenti di leggerezza e ironia, l’angoscia sembra venire nascosta con successo, dall’altro lato la musica di Arvo Pärt rafforza l’emotività, negando sia ai danzatori che agli spettatori di restare indifferenti alle sensazioni che traspaiono dall’opera.
Per questo lavoro, il coreografo sceglie di mettere in scena frammenti del proprio vissuto. Non si tratta, però, di un semplice racconto di ciò che è successo durante alcune relazioni che ha costruito in particolari momenti della sua vita. Ogni evento passato non viene filtrato da uno sguardo freddo e distante, ma tutto viene rappresentato mentre la sua mente ancora non riesce ad afferrare e decifrare ciò che è stato. Ne viene fuori una narrazione diretta, senza filtri, che non cerca una chiusura nella materia modellata e perfetta, ma che trova, nella sua frammentarietà e astrattezza, il comune denominatore tra le sue sensazioni e quelle di ognuno di noi.
Egli stesso, sentendosi perso in questo vortice di emozioni, nel cercare se stesso cerca tutti gli altri e, nella sua sensazione di spaesamento, racconta lo spaesamento che, l’uomo del XXI secolo, prova di fronte a una società che appiattisce la sua capacità di sentire e, soprattutto, di ricordare.
Ai performer viene chiesto di rinunciare alle caratteristiche intrinseche legate al loro genere, o agli stereotipi su di esso. Lo sguardo diventa fisso, le espressioni facciali limitate, però gli si dà anche la possibilità di esprimere, in maniera fluida, in base alla sensibilità scenica, l’emotività percepita in quel determinato momento. Nulla deve partire da un’idea, ma da un impulso interno: in questo modo il corpo non si trascina dietro una gestualità stereotipata, e le dinamiche coreografiche si costruiscono libere da tutti gli schemi, cosicché l’uomo può essere sollevato dalla donna, se la necessità interiore della coppia in scena lo richiede, invertendo (o seguendo) i canoni senza barriere preconcette.


La dimensione umana della quantità, percepita agli inizi di una società di massa come quella romana, è avvertita per la prima volta come minacciosa. Il titolo chiama in causa l’inizio di una delle più estese civiltà europee, agli albori di un vivere sociale organizzato, con la necessità di regolare i rapporti tra gli umani e le cose che andavano moltiplicandosi a dismisura. Così nasce il Diritto, in risposta all’immane quantità di casi da prendere in esame, e la coreografia mima fatti, conseguenze, giudizi e patti che originano alcuni moti dell’agire umano.
Le regole del Diritto romano colgono la parte legale degli affetti umani. L’esperienza primitiva che sta alla base di quelle astrazioni legali coglie anche la profondità psichica dell’individuo: l’istinto di conservazione, il sentimento della proprietà, il concetto di giustizia, il raziocinio della solidarietà, la percezione del giusto, la trascendenza di una legge super-partes.


Silvia/Ecuba sussurra queste parole intrecciate alle musiche e lyrics di R.Y.F. (Francesca Morello), Stefania squarcia l’aria con un pesante coltello e un falcetto contadino, come nei riti collettivi di cordoglio scomparsi del sud Europa. Basta forse questa immagine per entrare in Tutto Brucia, una riscrittura delle Troiane di Euripide – attraverso le parole di J.-P. Sartre, Judith Butler, Ernesto De Martino, Edoardo Viveiros de Castro, NoViolet Bulawayo, Donna Haraway. Il lamento si propaga attraverso quel Mediterraneo nero che – allora come oggi – è scena di conquiste dell’Europa coloniale, di migrazioni e diaspore.
Tra le rovine di uno spazio vuoto e stravolto, coperto da cenere e cadaveri dimostri marini, dove tutto è già accaduto, emerge la questione della vulnerabilità radicale. Il corpo rotto di Ecuba, la parola profetica di Cassandra, che vede oltre la fine, il grido spettrale di Polissena, l’invocazione ai morti di Andromaca, le violenze subite da Elena e infine il corpo più fragile e inerme, quello del bambino, Astianatte – danno voce ai soggetti più esposti e vulnerabili. E agli spettri che le/ci assediano.
Mai come adesso il lutto ci appare come una questione politica.
Quali vite contano? Cosa rende una vita degna di lutto?
È attraverso il dolore che le protagoniste nella scena tragica si trasformano materialmente –divengono altro da sé: cagna, pietra o acqua che scorre, elaborando la violenza subita. Una metamorfosi che apre verso altre possibili forme. E scrive il mondo che verrà. Perché la fine del mondo non è che la fine di un mondo.


Reduci dalla recente pubblicazione di Sweep It Into Space, i giganti dell’indie rock americano arrivano in Italia in formazione originale, con J Mascis alla chitarra e voce, Lou Barlow al basso e voce, Murph alla batteria.
Il disco originariamente previsto per il 2020, a causa dei ritardi dovuti alla pandemia, è uscito nella primavera dello scorso anno. Con Sweep It Into Space i Dinosaur Jr danno spazio al loro inconfondibile sound, continuando ad espandere l’universo personale, senza mai perdere la propria anima. L’album vede la presenza di Kurt Vile in veste di co-produttore, donando ancora più spessore alla già vivace vena melodica della band. Lou Barlow ci regala autentiche gemme dall’aria neo-60s, J Mascis ricama riff di chitarra ricordando a tutti il suo amore per gli Stooges, mentre Murph lavora dietro ai tamburi con la precisione di un metronomo. Non ci rimane che vederli all’opera dal vivo a giugno!


I Gordi, guidati dal regista Riccardo Pippa, continuano l’indagine su una forma teatrale che si affida al gesto, ai corpi con e senza maschere, a una parola-suono scarna e essenziale che supera le barriere linguistiche. Un bagno in fondo a un corridoio o sotto la piazza di una città. Può essere il bagno di un aeroporto, di un club o di una stazione di servizio.
Lo attraversa un’umanità variegata e transitoria. È un luogo di passaggio, d’attesa, d’incontro tra sconosciuti, un camerino improvvisato dove fare scongiuri, nascondersi, sfogarsi. È un covo per i demoni, un’anticamera, una soglia prima di un congedo o un battesimo del fuoco. Non è un luogo più vero rispetto al fuori, è solo un altro aspetto dell’esserci; se fuori ci si deve attenere alle norme sociali, ad una prassi, al gioco, dentro si dismette qualcosa; è uno spazio amorale, di sospensione, anche di grossa violenza e nudità, un luogo comune dell’interiorità dove ampliare lo spettro dell’azione quotidiana oltre i limiti e le censure.
Il bagno pubblico è per eccellenza il luogo dove, per questioni culturali e di igiene, la presenza fisica dell’altro, la vicinanza, si avvertono in modo più problematico. È un’immagine atemporale che può parlarci, oggi, senza fare attualità, che non scade coi decreti, che può rappresentare una situazione di riconoscibile, naturale diffidenza, di paura dell’altro, paura di sentirsi di troppo o addirittura una minaccia, del sentirsi corpo e basta, appiattiti al mero bisogno, al mantenimento e alla difesa di una vera o presunta integrità. Filo conduttore del percorso dei Gordi ad oggi è la ricerca di un linguaggio fatto di movimento, partiture di gesti concreti, oggetti, vestiti, maschere e musica.
Nel lavoro di scena ricercano sinestesie e un teatro poetico capace di emozionare e produrre immagini vive.Pandora completa un’ideale “trilogia della soglia”: in Sulla morte senza esagerare la soglia è lo spazio tra l’aldiquà e l’aldilà, in Visite tra il presente e il passato; in Pandora la soglia è il corpo, che, con la sua straziante fragilità, separa e congiunge noi e il mondo.
Una «tranche de vie» al tempo stesso surreale e realistica, in straordinario equilibrio tra comicità e tragedia, ironia e sofferenza, poesia e disagio esistenziale. [Claudia Cannella, “Corriere della Sera”]
Minuscoli, mostruosi eroi del quotidiano, diretti da un Riccardo Pippa in grande forma, Claudia Caldarano, Cecilia Campani, Giovanni Longhin, Andrea Panigatti, Sandro Pivotti, Matteo Vitanza (vanno nominati tutti perché sono tutti straordinari) sfondano i confini di decine di cliché e, tra un nudo in scena e un canto a cappella (tra i momenti più gustosi), portano in trionfo la poesia del vivere. [Stefania Vitulli, “il Giornale”]
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