Tra gli incontri straordinari di Paolo Pirani un prete d’assalto, don Peppe

di Paolo Pirani

Questo è uno degli “incontri” che amo definire a intermittenza, nel senso che si realizzano a più riprese, in o per circostanze diverse della mia vita, condividendo progettualità che hanno coinvolto luoghi e comunità differenti, ma con lo stesso sprint, ideazione e determinazione di sempre.

Succede a volte nella vita di ciascuno di noi di incontrare persone, frequentarle per un tratto più o meno lungo, per poi incontrarle nuovamente, anche in maniera inaspettata, non prevista né tantomeno prevedibile. E’ questo aspetto dell’infinita casistica con la quale si intersecano i destini (incrociati, avrebbe detto Calvino) di ciascun di noi che mi intriga non poco. Che mi conquista alla dottrina probabilistica, ma molto più semplicemente e umanamente mi àncora al reale, inesorabile, onesto fluire del tempo.

E, ancora una volta, come sempre più spesso mi accade, apro un cassetto della memoria, vi estraggo gli appunti di viaggio e ricostruisco un percorso condiviso.

Lungo una vita.  

Un prete… d’assalto: Giuseppe Bartera (don Peppe)

Giuseppe Bartera (don Peppe)
Giuseppe Bartera (don Peppe)

Un pupazzo da prendere a calci

Poco più che adolescenti, mia sorella ed io dormivamo ancora nella stessa camera, un po’ liberty (carta a fiori e letti in ferro bianco pittati, tende merlettate e accoppiata brocca – catino in ceramica d’antan), però accogliente, ricca fra l’altro di peluches di ogni tipo, raffiguranti soprattutto animali, cani e orsi su gli altri.

Credo fosse in occasione di una influenza di mia sorella che, per rallegrarla qualche attimo, ci ritrovammo con don Peppe a scherzare proprio sull’allestimento “cameresco”, palleggiandoci tranquillamente, a turno, i vari orsetti e tigrotti.

Qui c’è il fermo immagine della memoria: Peppe afferra un pupazzo dicendomi di guardare attentamente. Sta per affibbiargli un calcio potentissimo quando compare mia madre che se ne esce con un’esclamazione di riprovevole, divertito stupore. Qualcosa come: “ … ma che maniera, ragazzi; don Giuseppe, pure lei !!!”.

Fosse stata una figurina Panini avrebbe fatto fortuna, data la posa davvero plastica nella quale il don venne stoppato: pupazzo facente funzione di pallone saldamente in mano e portato in avanti a mò di rinvio da portiere, gamba sinistra leggermente flessa con piede ben piantato a terra, gamba destra all’indietro, caricata a molla pronta per colpire, faccia sorpresa all’indirizzo dell’interlocutore materno. Qualche secondo di surplace: leggenda.

Papa Francesco e don Peppe

Papa Francesco e don Peppe

Ricordi di campeggi, prime teatrali e fughe notturne

Il fatto era che rispetto alla nostra manciata d’anni, quelli di Peppe non erano molti di più, giovane prete catapultato a Ostra da Senigallia (e a Senigallia sarebbe tornato dopo una lunga militanza in altri comuni dell’hinterland, per poi rientrare nella natìa Corinaldo).

Insieme a lui ho condiviso anni intensi e centrali della mia prima formazione, con un gruppo di persone tra cui non posso non ricordare Simona Romagnoli che cedette giovanissima ad un male inesorabile, con le quali realizzai il mio primo campeggio settembrino sui Sibillini (ove conobbi la mia futura compagna), ed il mio primo spettacolo che titolava programmaticamente: “Il Regno viene, tu seguimi”. Prima del grande balzo da medicina al Dams – Discipline di arte, musica e spettacolo di Bologna, scuola sorta dal magma socio – culturale del ’68, unica allora in Italia esclusivamente dedicata allo spettacolo, con un gruppo di insegnanti fantastici, da Eco a Squarzina, da Leydi a Tian, da Trezzini a Zannier, da Signorelli a Casini Ropa, solo per citarne alcuni, facendo torto a tutti gli altri, critici, semiologi, registi, uomini e donne di cultura che intrecciarono le loro vite con quelle di giovani studenti di ogni dove, italiani e stranieri.

Fughe, più che notturne, tardopomeridiane (le discoteche chiudevano i battenti per l’ora di cena), con la sua mitica 650 Fiat color senape, a farsi pizza e birra a 900 lire in un locale di Serra centro che non c’è più, dopo discussioni e progetti, speranze e abbandoni.

6 marzo 2011, il ricordo della prima corriera per la tratta Corinaldo - Senigallia

6 marzo 2011, il ricordo della prima corriera per la tratta Corinaldo – Senigallia
Giuseppe Bartera nelle vesti di calciatore

Giuseppe Bartera nelle vesti di calciatore

Strade che si dividono per poi incrociarsi di nuovo

Poi le nostre strade si sono divise, per scelta ma anche per caso, lui a dirigere, infine, la  parrocchia del Portone a Senigallia, io qua e là in giro, dopo l’anno del militare, a fare esperienza di teatro militante e poi addetto culturale del Comune di Corinaldo.

E qui l’ho incontrato nuovamente, come un cerchio che si chiude, chiamandolo letteralmente alla ribalta, nel riaperto teatro Goldoni, in occasione di una iniziativa alla quale presenziava e che stavo conducendo come mi è capitato spesso, spigolatura del lavoro che facevo.

Salutandolo, m’è venuto spontaneo dire che in effetti ci si può separare e ritrovare, per un battito di ciglia o per quarant’anni, come nel nostro caso (pur avendomi sposato, celebrato il 25°, conosciuto la figliolanza e risiedendo ad appena 16 chilometri di distanza, da un lato e dall’altro del fossato della memoria sempre in piena); ma se c’è stato un rapporto profondo e bello, in questo e in casi del genere, quaranta o cento anni dopo, è come riprendere il filo di un discorso interrotto la sera prima.

i 50 anni di sacerdozio di don Giuseppe Bartera

i 50 anni di sacerdozio di don Giuseppe Bartera

Un fratello maggiore

Di questo l’ho ringraziato e lo ringrazio; gli sono riconoscente, come a un fratello maggiore, per quello che è stato e per quello che è. E perché sono convinto che sia una delle lezioni più importanti che ho tratto dalla nostra frequentazione, percorrendo strade talvolta parallele, tal’altra intersecantesi.

Come la trama di un disegno che si compone in qualche maniera anche a nostra insaputa.

Ma mai per caso.